Spettacolo nello spettacolo il Giro si chiude nella maestosità di Roma con la vittoria di Tim Merlier che batte un gigantesco Jonathan Milan che resta a piedi a 9 km dell’arrivo e rientra con un’azione fantastica che sfuma di un nulla. Vince Tadej Pogacar ed è una vittoria annunciata. Dopo uno sloveno un altro sloveno anche se l’anno scorso Primoz Roglic vinse un Giro al cardioplama esattamente il contrario di questo 107 dove il finale si conosceva ancor prima di partire. Un Giro senza storia, senza avversari, senza sfida. Con Tadej il ciclismo rivede uno dei suoi dogmi: non più “duello” ma “assolo” che potrebbe sembrare un’eresia è invece non lo è, soprattutto se a calcare le strade e ad infiammare i tifosi c’è questo ragazzo sloveno dai modi gentili che per tre settimane non si è risparmiato e a ha mostrato a tutti  la meraviglie di cui è capace. Un dominio assoluto, con sei tappe vinte, con una superiorità più che netta, con distacchi che si contano nell’ordine delle decine di minuti, con la sensazione che non ci fosse modo per nessuno non di batterlo ma neppure di impensierirlo. Ma non è stata solo una grande vittoria solo dal punto di vista tecnico. Pogacar ha dominato questo Giro anche dal punto di vista personale e mediatico. Ha portato un tratto di educazione, di leggerezza e di umanità che hanno aggiunto molto al suo essere fuoriclasse in sella. Oltre alle vittorie ad Oropa,  sul Grappa, nella crono di Perugia, altri  fotogrammi  resteranno per sempre negli archivi della storia. Resterà la borraccia che sul Grappa Tadej ha messo nelle mani di quel bimbo che gli correva accanato, che lo ha conquistato per sempre, che ha gettato un seme sul fatto che possa crescere da sportivo e non solo da sportivo con quei valori. Resteranno l’abbraccio e l’emozione di Giulio Pellizzari, battuto ma che chiede al suo idolo a fine tappa, come un fan qualunque, gli occhiali e a cui lo sloveno regala anche la maglia. E ancora. Resterà sulla salita del grappa quel “Dai andiamo…” detto sempre a Giulio Pellizzari raggiunto a tre chilometri dalla vetta anzichè passarlo in tromba come avrebbe sicuramente potuto fare. Resteranno i saluti ai tifosi sloveni scesi in massa a salutare il loro campione vittorioso a Bassano, resteranno i sorrisi, gli applausi anche le “gag” come quando a Livigno, prima di partire nella tormenta, da intervistato Tadej diventa intervistatore rubando per qualche secondo il microfono al telecronista Rai. Chi pensa male (c’è sempre qualcuno che pensa male) sospetta che sia tutto un po’ studiato e che sia facile e troppo comodo far gesti belli quando si vince senza troppa fatica. Può darsi. Però “i gesti belli” bisogna farli.  E il ciclismo vive di grandi gesti.  Lo scorso anno, dopo aver perso il Giro per 14 secondi nell’ultima crono in salita sul Monte Lussari, la prima cosa che fece  Geraint Thomas fu quella di abbracciare Primoz Roglic per poi twittare: “Chapeau Primoz, te lo meriti amico…”. Certo non va sempre così. Ci sono quelli che stanno a ruota tutto il tempo e poi ti fregano, che fingono di non averne più e poi sprintano, che fanno i furbi e vincono.  Ma il ciclismo è sempre capace di sorprendere con immagini che tengono vivi storia e futuro. C’è sempre stata la borraccia di Fausto Coppi e Gino Bartali , c’è la stretta di mano  tra Jonas Vingegaard e Tadej Pogacar al Tour che si aspettano dopo una caduta mentre si stanno giocando il primato e si potrebbe continuare. Attimi fuggenti che mettono insieme valori antichi  come la lealtà, l’amicizia, la stima e il rispetto che lo sport eleva.  Verranno i bastian contrari a dirci che in uno sport dove ormai impera il business è tutta una pantomima,  parte di uno show.  Verranno i più sgamati a spiegarci che il ciclismo non può dare lezioni e tireranno in ballo la solita storia di chi bara col doping. Pazienza, anzi: chissenefrega.  I gesti, l’epica e anche la retorica sono la forza di uno sport senza tempo. E con Tadej tutto continua.