Era il 26 settembre del 2109 quando,  nell’aula magna del Politecnico alla Bovisa, Milan e Inter con i progetti dei due studi Populous e Manica-Sportium, chiedevano di scegliere se al posto del Meazza sarebbe dovuto sorgere un nuovo impianto costruito su due Anelli, oppure una Cattedrale. Cinque anni fa, che poi erano sei perché del nuovo stadio se ne parlava abbondantemente già da un anno.

È da allora che a Milano non si parla d’altro. Piani di fattibilità, progetti, abbattimenti, ristrutturazioni, nuove aree, fughe in avanti verso Rozzano e San Donato, retromarce, ripensamenti, dichiarazioni di interessi fino a stabilire, messo nero su bianco dall’Agenzia delle entrate, che il prezzo giusto è di 197 milioni. Che poi forse è un dettaglio trascurabile perchè  a chi vuole investore lo stadio interessa il giusto, interessano di più le aree che gli stanno attorno. Ma tant’è. Domani Giuseppe Sala riferirà in Consiglio in una seduta che si preannuncia all’arma bianca, dove il sindaco dovrà curarsi più degli «amici» che dei «nemici» visto che esponenti della maggioranza hanno depositato una delibera che impegna la giunta a «formulare un bando pubblico per la ristrutturazione».

Quindi si tornerà a discutere. Si discute tanto di stadi a Milano. E non ne bastava uno. Ora, a chiedere giustamente spazio, c’è anche l’Alcione, neopromossa in serie C, che sogna un impianto adatto anche per la Serie B, da realizzare sulle aree del centro sportivo Carraro dove in realtà si preparano a giocare almeno una quindicina di società dilettantistiche tra calcio, rugby e atletica. Che ovviamente sono preoccupate perché si sentono sotto sfratto. Gli stadi restano ormai al centro di pensieri, dibattiti e progetti  mentre lo sport  “minore” annaspa col grido di dolore di tante società sportive costrette a fare i salti mortali per trovare impianti e spazi per far allenare i propri giovani.

Di questo si parla poco. Quasi mai. Eppure non è un dettaglio se si considera il ruolo formativo dello «sport minore» nella crescita, nella socialità e nell’integrazione dei ragazzi. E non solo dei ragazzi. Giusto per fare qualche esempio è critica la situazione delle piscine a cominciare dal Saini, uno dei centri più frequentati da atleti, atleti paralimpici e nuotatori, chiuso fino alla prossima estate per una ristrutturazione. Stesso discorso, anche peggio,  per Lido, Scarioni e Argelati loro pure chiuse per cambi di gestione e ristrutturazioni più o meno in corso e più o meno a tempo indeterminato.

Altro esempio è poi l’Agorà. Il palazzo del ghiaccio che con le olimpiadi invernali alle porte dovrebbe, nel Paese del buonsenso,  essere al centro delle attenzioni è invece fuori uso dal 2023.  Non solo. Un mese fa è stato danneggiato da un incendio e la scorsa settimana occupato da un centro sociale che si batte contro le olimpiadi a Milano e cje per qualche giorno ne ha fatto bivacco. Rischia di fare la stessa fine che nel 1985 fece il Palasport, danneggiato da una nevicata, e poi abbattuto. A meno che non vada a buon fine la proposta di riqualificazione fatta dall’Accademia del Ghiaccio che propone un restyling da 5-6 milioni. Bisogna incrociare le dita e sperare che si cominci a discutere un po’ meno di stadi e un po’ più di sport di base. Quello delle tante società dilettantistiche che vivono di un volontariato «eroico», costrette ad alzare bandiera bianca perché non hanno impianti o non ce la fanno a pagarne gli affitti.