L’anno scorso, dopo la Roubaix, a richiamarlo all’ordine era stata sua moglie, dall’Australia, con un messaggio che commentava  un suo post sui social: ““Sì ok bravissimo, ma adesso torna a casa che hai un figlio da crescere ed educare…”. Cameron Wurf aveva appena finito di pedalare in gara con i suoi compagni della Ineos e, dopo 260 chilometri di pavè, era tornato in albergo, si era cambiato ed era andato a correre una mezza maratona: così tanto per sciogliere i muscoli. Sport senza fine, lo interpreta così il quarantenne  tasmaniano di Hobart. Senza limiti, senza risparmiarsi, senza pensare alla fatica, senza respiro… E allora non stupisce trovarlo dove si pedali, dove si corra, dove ci sia da competere, ovviamente ad alti livelli. La scorsa settimana era alle Hawaii e, nella finale mondiale Ironman vinta dal tedesco Patrick Lange, si è piazzato settimo assoluto in 7ore:51’26”. Ma non gli è bastato evidentemente. Così ieri è tornato in gara nella maratona di New York, vinta dal somalo naturalizzato olandese Abdi Nageeye,  che ha terminato in  2:36:22, tempo non da top runner ma comunque non banale…Come molti dalle sue parti a Lord Howe Island, un paradiso faunistico nel Mare di Tasman, a circa 600 km a est di Sydney dove vivono 300 anime,  Wurf è cresciuto facendo sport. Ha cominciato  come tutti i  bimbi a correre, nuotare e ad usare la bici per andare a scuola e poi al liceo ha giocato a calcio, a  football, a tennis per poi dedicarsi all’atletica ovviamente trovando anche il tempo per fare surf. Il primo vero sport da “pro” però è stato il canottaggio, dove nel “4 senza” ha fatto parte della squadra che ha conquistato l’oro ai Campionati del mondo di canottaggio U23 nel 2003, a Belgrado e, sempre con la nazionale australiana, ha fatto parte della spedizione olimpica ad Atene 2004 . Poi è passato alla bici, ha corso anche in Italia con Androni e Liquigas e  da  quattro anni è tornato al ciclismo con la Ineos Grenadiers fido gregario di Geraint Thomas e Tom Pidcock. Senza pause,  anzi trovando anche il tempo, una decina di anni fa, per prendersi una laurea in economia ovviamente senza smettere di allenarsi, soprattutto nel triathlon, ultima delle sue passioni.   Ha debuttato nel circuito internazionale“long distance” nel 2016, ha vinto quattro Ironman (Galles, Australia, Italia e Danimarca) ed è il triatleta che ha firmato una delle prestazioni in bici più veloci di sempre ai mondiali Ironman di Kona alle Hawaii nel 2018  chiudendo i 181 chilometri in 4 ore e 7 minuti a 43,6 di media. Una sfida che rimase memorabile non solo per il record in bici ma anche per un fantastico gesto di sportività dell’australiano che, quando mancavano una decina di miglia al traguardo ed era al comando, venne raggiunto nella corsa dal tedesco Patrick Lange, che poi vinse, e i due si salutarono in gara dandosi un “cinque”. C’è chi lo sport lo fa per passione, chi per mestiere e chi ha la tenacia, il talento e la fortuna di trasformare in mestiere proprio la sua passione. Altrimenti non si spiega ciò che l’australiano riesce a fare: “Faccio tutta questa fatica perchè così non ho tempo di pensare alla mia età- aveva raccontato tempo fa in una sua intervista a Olympics. com-  Dicono che per gli atleti dai 35 ai 45 anni, la cosa più difficile da tenere in forma è il cervello. Per quanto mi riguarda, aver cambiato sport così tante volte, mi mantiene fresco. Non posso certo preoccuparmi di essere troppo vecchio, perché sono concentrato sulla voglia di migliorare. Vedremo quanto durerà, ma cerco costantemente di fare le cose che mi spaventano, quelle per cui sono nervoso nel momento in cui dico a qualcuno che le farò, perché non so se ce la farò…Cosa  potrebbe ancora accadere nei prossimi anni? Nel 2028 ci sono i Giochi Olimpici di Los Angeles.  Potrei tornare nel canottaggio e magari fare un’altra Olimpiade…”.