Avete presente le leggendarie pescatrici di perle giapponesi? Quelle donne che, seguendo una tradizione antica, si gettano nella acque di Toba (a metà strada tra Osaka e Tokyo) per cercare perle sul fondo marino? Lo fanno in apnea. Quindi trattengono il respiro, sopportano una lunga e pericolosa discesa in acque non sempre limpide, e alla fine risalgono stringendo tra le mani un tesoro. La lettura di Infinite Jest di David Foster Wallace mi ricorda esattamente quella pratica. Perché bisogna nuotare in apnea lungo questo sterminato testo (1434 pagine, note comprese, nella prima edizione curata da Edoardo Nesi per Fandango nel 2000, da tempo però sostituita da un’edizione Einaudi che sfrutta la stessa traduzione) per pescare di tanto in tanto delle perle rare e preziose. Perle che val la pena possedere. Piccoli racconti che potrebbero benissimo fare la fortuna di numerose antologie. Ma che disseminate in questo, che è senza dubbio il più impegnativo romanzo post-moderno che mi sia mai capitato di leggere, diventano ancor più preziose. Perché la fatica e la pazienza del lettore contribuiscono a fornire questi racconti di un alone leggendario.
Potrei citarne tanti di questi racconti. Il più bello è senza dubbio quello della donna debole di cuore. Il giorno in cui riceve una speciale apparato portatile che sostituisce le funzioni del suo organo malato è così felice che si veste a festa ed esce a comprare una borsa elegante che possa contenerlo. Una volta acquistata continua il suo shopping solo che viene derubata proprio della borsa elegante e costosa. E non ha la prontezza di dire che gli hanno rubato la borsa. Si mette invece a urlare che le hanno rubato il cuore. Quindi si accascia per terra indebolita e morente. I passanti, a quelle parole e a quei gesti melodrammatici, sorridono compiaciuti. Senza capire, ovviamente, la gravità della situazione. Ed è così che la donna muore. Vittima più dell’equivoco che del gesto del ladro.
Dentro le 1434 pagine del romanzo sono tante le perle come questa. Disseminate lungo un racconto che ha sì una trama che li lega ma che è così sfilacciata e vaga e soprattutto legata a uno scenario altamente distopico e post-moderno da rendere oltremodo complessa la lettura.
Il romanzo ha ovviamente alcuni temi forti e nuclei narrativi principali. L’accademia tennistica (l’autore da ragazzo era stato una promessa del tennis statunitense), l’associazione per il recupero dalle tossicodipendenze, il complotto dei separatisti del Quebéc, e su tutte ovviamente la vena (aurifera) del cinefilo che ci regala una versione moderna del mito delle sirene e del loro canto mortale con la videocassetta intitolata Infinite Jest e la cui visione stordisce a tal punto lo spettatore che perde forze e volontà e finisce per morire semplicemente guardando senza sosta, all’infinito, il film. Uno dei personaggi principali del romanzo, James Incandenza, non solo è un grande teorico del tennis e dell’insegnamento di questa disciplina sportiva, ma coltiva un hobby molto particolare: girare film sempre più avanguardistici, fino a far di sé una leggenda come autore di una pellicola che non “può essere vista”.
La vena ironica e parodica di David Foster Wallace tratta tutti gli argomenti nello stesso modo: il tennis è sì un grande sport ma anche la metafora dell’allevamento in batteria di campioni per affrontare una vita in cui conta soltanto il successo personale; le tossicodipendenze sono il male più diffuso insieme alla depressione perché la società vuole asservire e rendere tutti dipendenti dai consumi; il cinema diventa pervasivo, anzi non è più cinema. E’ semplicemente visione. Fruizione di immagini in maniera diffusa. Scritto più di vent’anni fa il romanzo prevede già l’eclisse del cinema e della televisione generalista, sostituiti dalla paytv e dalla tv via internet (come Netflix). La fruizione delle immagini e dei film è qualcosa che sfrutta lo stesso metodo usato oggi da piattaforme come Spotify per diffondere la musica. Una sorta di fruizione on demand che può avvenire in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento con un semplice smartphone.
L’autore non si accontenta, però, di costruire una grande romanzo a suo modo apocalittico. Pretende di offrire dettagli e spiegazioni scientifiche che sfibrano la pazienza di qualsiasi lettore che non abbia un dottorato in discipline come farmacologia e neurologia. Anche l’apparato delle note è una trappola mortale. Ci si infila in un dedalo di spiegazioni e di prese in giro al lettore che sfilaccerebbero anche la pazienza del più appassionato fan dell’autore de La scopa del sistema. (ci sono anche note delle note e a pagina 1357 una nota della nota in cui viene scritto testualmente: “meglio non chiedere”).
Insomma questo romanzo è tutto e il contrario di tutto. Val la pena chiedersi come lo giudichino coloro che lavorano nel mondo dell’editoria o coloro che dirigono corsi di scrittura creativa (ne conosco personalmente di bravissimi). Perché le pagine e pagine dedicate alle molecole di qualche nuovo tipo di calmante o la descrizione infinita degli effetti fisiologici di qualche allenamento sbagliato non verrebbero tagliati da un editor rigoroso e imparziale?
Per citare un altro titolo dell’autore, Infinite Jest è una lettura “divertente che non farò mai più”.

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