E chissenefrega delle polemiche. E chissenenfrega se al chilometro 105 della terza tappa del Tour, quella che portava sul Muro di Huy, c’erano quattro uomini in fuga. E chissenfrega se Patrick Lefevere, general manager della Quick Step, se la prende di brutto. E chissenefrega pure se  tre o quattro altri direttori sportivi mettono il muso perchè già pregustavano una vittoria di tappa. Chi ha visto il volo a più di 70 all’ora ieri in tv ha capito subito che quel groviglio di ruote, telai, gambe che si accartocciavano contro un palo della luce  non erano la solita caduta. Quelle dove i meccanici scattano con le ruote in mano, dove i corridori incazzati buttano le bici sul ciglio della strada e ripartono con quella che hanno appena staccata dall’ammiraglia. Non era la caduta dove i massaggiatori si preoccupano solo di dare un’occhiata ai loro atleti e poi di spingerli per farli ripartire. C’è un’immagine, che le telecamere della Rai hanno ingrandito con una lente, dove si vede un corridore con un body nero cadere all’indietro, completamente fuori controllo, andare ad impattare sull’asfalto con la nuca. E se non avesse avuto il casco probabilmente saremmo qui a raccontare un’altra disgrazia come quella di Wouter Weylandt al Giro.  e’ andata come è andata e fortunatamente è andata bene. E ha fatto non bene ma benissimo il direttore del Tour Christian Prudhomme a piazzare davanti al gruppo le sue auto per bloccare tutto. Ha fatto benissimo perchè probabilmente è vero che da lì in avanti non ci sarebbero state ambulanze per seguire la corsa e garantirne la sicurezza. Ma è anche vero che all”istante nessuno poteva sapere cosa fosse davvero successo  in quell’inferno e quindi era giusto pensare più a dare soccorso che non alla corsa. Benvenuta quindi la safety car al Tour. Si è creato un precedente? E chissenefrega…