Anche in letteratura è tutta una questione di date. Emile Zola pubblica L’opera nel 1886 mentre Oscar Wilde dà alle stampe Il ritratto di Dorian Gray nel 1890. I due romanzi non hanno niente a che fare l’uno con l’altro. Temi e stile sono molto differenti quindi non ci sarebbe quasi da parlarne se non fosse per un dettaglio. Il ritratto, appunto. Tutto il romanzo di Zola ruota intorno a un quadro dove campeggia una figura femminile. E il plot stesso del romanzo dello scrittore irlandese è incentrato sul potere diabolico di un ritratto che assume su di sé il fardello del tempo per lasciare al suo soggetto l’ebrezza dell’eterna giovinezza.

Il romanzo di Zola non lo conoscevo. Ho faticato a trovarlo (nelle librerie non si trova, per fortuna on line è stato facile acquistarlo). Fa parte delle letture estive di mio figlio. E mi ha incuriosito. È uno dei testi del ciclo dei Rougon-Macquart ed è ambientato nel milieu artistico parigino tra gli anni Sessanta e Settanta del XIX secolo, quando la pittura francese stava attraversando il faticoso passaggio dalla pittura romantica a quella realista.

Claude Lantier è il classico provinciale inurbato che nella Ville Lumière vede il luogo ideale per sfondare come pittore. È ossessionato dalla “verità” della pittura e con il tempo assume un rapporto malato con il suo lavoro. Prima di divenire ossessione, però, la pittura gli permette di conoscere Christine. La modella che diventerà la sua compagna di vita. Vivono in mansarde fredde, in uno stile molto bohemien. Con gli amici di sempre (giornalisti ambiziosi, scrittori falliti, giovani architetti e scultori squattrinati) Claude costruisce un mondo chiuso in sé che si alimenta soltanto della propria ambizione e dei propri ideali.

Il successo, però, non arriva. I vari Salons rifiutano i quadri di Claude che ossessionato dalla sua ricerca del vero si perde nella sua ossessione: un grande quadro paesaggistico della Citè con al centro la sua “musa”. Ossessionato dalla perfezione del suo corpo perde interesse per Christine che vede nella immutabile bellezza del soggetto dipinto la sua vera nemica.

Da qui la caduta è un progressivo perdere terreno nei confronti della realtà. Proprio nel tentativo disperato di trovare nella pittura il quid di una verità assoluta, Claude perderà contatto con il mondo e con gli amici.

E il ritrovarsi a distanza di anni a cena con loro, dove ognuno ha perso la spinta ideale dei primi temi adattandosi a compromessi più o meno mortificanti, rende la scena assai simile al C’eravamo tanto amati di Scola, dove il tempo rende sempre più complicato aderire agli ideali della giovinezza.

Avevo iniziato a leggerlo con estrema diffidenza. Chiedendomi, tra l’altro, se fosse la lettura ideale per gli adolescenti di oggi. E invece devo riconoscere che i temi trattati lo rendono fruttifero per i giovani di oggi. Inoltre, l’ambiente radicale e libertario in cui vivevano questi bohemiens parigini di fine Ottocento sdogana alcuni temi per quei tempi impensabili. L’erotismo, la contestazione antiborghese e l’anticonformismo come regola, sono il rumore di fondo di questa storia di passione e di illusione. E Zola offre inoltre un chiaro spaccato di com’era la vita nella capitale francese del tempo. Per non dire del difficile destino di chi vuole immolare la propria esistenza all’ideale dell’arte.

Se ci aggiungiamo che la traduzione di cui ho goduto io (edizione Garzanti nella versione di Franco Cordelli) è d’autore, si può concludere che mi sono trovato tra le mani un capolavoro. Un classico poco conosciuto, ma da conoscere.

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