Schnitzler “tradito” per troppa fretta
Cosa ci spinge a prendere in mano un libro? O meglio un classico della letteratura? In età giovanile spesso è una sorta di “dovere” interiore a spingerci. Il bisogno, quasi, di colmare vuoti e di mettersi ai ripari dalle continue allusioni che gli adulti fanno a proposito di quei testi. In ogni altra età della vita è la curiosità. E questa a sua volta è generata da tanti accadimenti. Non ultimo la citazione che di quella opera viene fatta da una auctoritas. Con il cui termine in realtà oggi si intendono purtroppo soltanto gli influencer. C’è stato un tempo, però, che con quel termine ci si riferiva a persone la cui esperienza di vita, intellettuale e professionale e il bagaglio accumulato consentivano di parlare come da una cattedra, magari rivelando semplici constatazioni o ricordi innocenti. E’ un simile percorso che mi ha portato a cercare Il ritorno di Casanova di Arthur Schnitzler. Ne ho sentito parlare dal premio Oscar Gabriele Salvatores che, nel corso di un’intervista sul suo ultimo film ispirato proprio da questo libro, ha detto che ha passato una vita intera a considerarlo un libro di riferimento, cercando in ogni modo di portarlo sullo schermo o sulla scena teatrale.
Non sapevo nulla del testo e poco dell’autore. E, dopo un rapido sguardo nello scaffale dove raccolgo autori russi e scrittori di lingua tedesca, sono corso in libreria a cercarlo. Mi sono infatti detto: è un classico; non puoi limitarti a leggerlo (magari in biblioteca o su un e-reader), devi anche inserirlo in quello scaffale.
E il tema di questo post è proprio ciò che ho trovato in libreria L’editore Garzanti, infatti, ha intelligentemente pubblicato una nuova edizione di questo classico novecentesco. Ha però scelto una confezione a mio modesto avviso non confacente al testo. E’ dai tempi dei preziosi studi di Gerard Genette sul “paratesto” che abbiamo compreso l’importanza di tutto ciò che sta alle “soglie” dell’opera letteraria (Sueils si intitolava infatti il libro del celebre semiologo, pubblicato in Italia da Einaudi). Elementi capaci di condizionare il lettore e quindi di “modificare” il senso stesso del testo.
Ripubblicare un testo del 1918 mettendo come copertina la riproduzione di una locandina di un film non ancora nelle sale, dove sono riconoscibilissimi due grandi interpreti della scena italiana di oggi rappresenta un forte condizionamento. Il libro è uscito a marzo. Il film di Salvatores (del quale il regista parla come di una libera suggestione dovuta alla lettura del testo non certo di una sua fedele trasposizione) è arrivato nelle sale solo un paio di settimane dopo. Quindi chi ha comprato il libro lo ha fatto, spinto come me, dal battage pubblicitario creato per il film. Quella copertina, però, resisterà nel tempo e chi ha portato a casa quel volume dovrà sempre fare i conti con quella immagine fuorviante.
D’altronde è davvero meritoria l’opera della Garzanti. Come un bravo editore dovrebbe sempre fare, ha tempestivamente messo a disposizione dei potenziali acquirenti un volume dal valore ormai indiscutibile e capace di attrarre nuove generazioni di lettori. Però con quella fotografia in copertina l’editore finisce per sminuire (o per certi versi cancellare proprio) l’aura di classico al Ritorno di Casanova. Peraltro, nonostante sia uscito in una agile edizione tascabile, non ha nemmeno una nota introduttiva o una piccola scheda biografica del celebre medico e commediografo viennese.
Sembra quasi che sia l’editore stesso a rinunciare a quello status di classico che permetterebbe al libro di sopravvivere più di una stagione sugli scaffali delle librerie. E il ricordo va a un altro testo dello stesso Schnitzler. Pubblicato da Adelphi, quest’ultimo testo (Doppio sogno) ha superato brillantemente la stagione nella quale lo si associava all’ultimo film di Stanley Kubrick. E ancora lo troviamo in libreria in quella sua veste austera ma sempre seducente di classico.