Epatite C, minaccia silente e pericolosa
Quanti di voi sanno che l’Epatite C, oggi, si può curare? Certo, il primo passo, però, è poterla diagnosticare. Occorre sapere che in Italia non si conosce con esattezza la reale diffusione della malattia dell’HCV. Si parla, infatti, di stime: circa 600mila persone sono affette da HCV, la maggior parte delle quali ha un’età che supera i 60 anni. In Italia, all’inizio del 2018, le persone con Epatite C ancora da curare si stimavano attorno alle 470mila, di cui 300.000 inconsapevoli di essere affette dalla malattia subdola. Già, perché restando la malattia silente per parecchio tempo, le persone non si rendono conto di avere contratto il virus e nemmeno si pongono il problema di andare a sottoporsi al test. Ecco perché Gilead, in collaborazione con la Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), l’Associazione italiana studio del fegato (Aisf) e Fondazione The Bridge e Federazione LiverPool, ha promosso la campagna “Insieme si vince” per sensibilizzare tutta la popolazione sulla prevenzione dell’Epatite C e sulla importanza del test per l’HCV. La sfida è partita con la promozione di un contest che ha coinvolto Userfarm, la più grande community di video-maker al mondo. Dopo una dura selezione, degli esperti hanno premiato gli italiani Valerio Fea, Timothy Emanuele Costa e Mirko Bonanno che, con i loro lavori rispettivamente intitolati “Breaking not so Bad, “Il primo passo” e “Il Coach”, hanno saputo leggere, attraverso un linguaggio comprensibile a tutti, con efficacia, originalità e anche un’importante carica emozionale, un tema sociale, ma anche culturale, che necessita di uno sguardo profondo. Occorre motivare le persone a fare il test. E, per una volta, la platea non è rappresentata solo da giovani. Come spiega Massimo Andreoni: “Le fasce più a rischio, oltre ai detenuti e tossicodipendenti, sono gli anziani, perché fino agli anni ’60 i medici usavano le siringhe di vetro e non quelle usa e getta”. Difatti, in Italia, la prevalenza di over 65 con epatite C è particolarmente alta. Senza trascurare coloro che si sono sottoposti, in passato a interventi chirurgici, trasfusioni o trapianti e anche chi ha tatuaggi e piercing eseguiti in condizioni non proprio sicure. L’Italia è uno dei Paesi con prevalenza maggiore e proprio per questo si sta attivando per raggiungere l’obiettivo promosso dall’Oms: eliminare l’Epatite C entro il 2030. Ma gli strumenti ci sono? Ci sono eccome, visto che, come afferma Rosaria Iardini, presidente della Fondazione The Bridge, partner dell’iniziativa, “Esistono test diagnostici altamente sensibili e anche terapie antivirali efficaci per possono consentire il raggiungimento degli obiettivi”. Come conclude Cristina Le Grazie, Direttore Medico Gilead Sciences, “Abbiamo messo a disposizione farmaci eccellenti che, in poco più di tre mesi, riescono a debellare la malattia. C’è stato un cambiamento terapeutico che definisco una vera rivoluzione, ma prima occorre sottoporsi al test, che consiste nell’analisi di un banale prelievo ematico e salivare”. Solo così si potrà eliminare il virus che non potrà più essere trasmesso.