Andrea Zambaldi, è morto sotto una valanga sullo Shisha Pangma assieme al suo compagno di cordata, il tedesco Sebastian Haag. L’incidente è avvenuto durante la “Double 8 Expedition”, il tentativo da record di scalare due ottomila in una settimana, coprendo i 170 km di distanza tra le due montagne in mountainbike.  Così scrivono le agenzie di stampa. Ed è una notizia terribile. Non conoscevo Andrea Zambaldi ma quest’estate ci eravano sentiti per un’intervista che avevo pubblicato sul mio blog (https://blog.ilgiornale.it/ruzzo/2014/08/21/con-la-bici-in-himalaya-due-ottomila-in-sette-giorni/).  Niente di che, un paio di messaggi. Ma era la vigilia della sua partenza e mi era sembrato entusiasta, come giusto che fosse perchè la montagna era la sua passione. Così oggi quando un amico comune, lo stesso che ci aveva messo in contatto, mi ha chiamato pe dirmi cosa era successo non ci volevo credere. Poi però  le notizie che prima erano tutte da confermare sono state purtroppo confermate.  Il trentaduenne veronese,  che viveva e lavorava a Bolzano faceva parte del team Dynafit ed  era un alpinista molto esperto con numerose spedizioni tra cui l’Aconcagua nel 2004, una nuova via al Quitaraju nel 2005, una via nuova all’Ishinca nel 2012,  l’Alpamayo sempre nel 2012, lo Shisha Pangma nel 2008, il tentativo al Makalu nel 2006, spedizioni sci alpinistiche in nord America e nord Europa . La tragedia  è avvenuta due mattine fa sullo Shisha Pangma, quando a quasi 8.000 metri di quota una valanga ha travolto la cordata della Double 8 Expedition, composta da Andrea Zambaldi, Sebastian Haag e Martin Maier. Zambaldi e Haag sono precipitati per circa 600 metri e risultano dispersi, mentre Maier si sarebbe salvato. “Se si trovavano sotto la cima vera, probabilmente erano al traverso, che non è un tratto tecnicamente difficile ma è molto pericoloso – dice Silvio Mondinelli a Montagna.tv -. Io sono tornato indietro tre volte su quel traverso, per paura che si staccasse una valanga”. La sfida era ambiziosa . Una missione  sulla catena dell’ Himalaya con l’obiettivo di salire lo Shisha Pangma (8.027 metri) e poi  il Cho Oyu (8.201 metri) e coprire la distanza tra i due campi base senza l’ausilio di mezzi a motore, quindi grazie esclusivamente alla forza delle proprie gambe. Infatti i tre componenti della spedizione si sarebbero dovuti spostare da un campo base all’altro su tre mountain bike  con cui avrebbero alternato trasferimenti a piedi. Non solo. Per quanto riguarda l’ascesa alle due vette, il team usava ossigeno supplementare. La prima metà del percorso avrebbe dovuto seguire la “Friendship Highway” che collega Kathmandu in Nepal con Lhasa nel Tibet, e proseguire poi da Talsenke dietro il passo Lalung La fino al Tingri. Cosa sia precisamnete successo è ancora da ricostruire con precisione. Resta il fatto che le condizioni meteo al momento del distacco della slavina non erano favorevolissime come aveva anche raccontato Zambaldi sul blog che giorno per giorno stava aggiornando: “La neve rende l’avanzata molto dura- scriveva tre sere fa-  Nelle parti più ripide si sprofonda fino all’anca o al torace. Tra poco vedremo l’ultima parte dello Shisha Pangma. Speriamo che la montagna ci dia una possibilità di salita”. Cosi purtroppo non è stato.