Una porta in faccia. E c’era da aspettarselo. Il sogno olimpico di Alex Schwazer è durato poco più di una notte. Se ieri il marciatore azzurro – nonostante il prolungamento di tre mesi della sua squalifica per doping- aveva  spiegato al mondo di poter rientrare in tempo per qualificarsi per i Giochi di Rio 2016, oggi è arrivato lo stop del presidente della Fidal, Alfio Giomi, che non ha aspettato nemmeno il parere della Procura Antidoping :  «La squadra della marcia e della maratona la daremo a fine ottobre sulla base dei risultati raggiunti fino a quel momento – ha spiegato – È giusto che le regole vengano rispettate, la Fidal le rispetterà fino in fondo. Preferisco un ventesimo posto piuttosto che una medaglia che possa essere fatta escludendo qualcuno. Riteniamo di avere già i tre marciatori per la 50 chilometri quindi è impensabile che si debba lasciare fuori qualcuno che ha seguito un percorso>.  C’è un prezzo per ogni cosa. Aveva sbagliato i toni ieri Alex Schwazer. Che ha il diritto di ricominciare perchè ha sbagliato e pagato. Che ha diritto al perdono per chi glielo vuole dare. Che ha diritto a una chanche se sarà capace di andarsela a prendere. Ma non ha diritto di essere arrogante. E ieri con Giorgio Rubino, il suo compagno di squadra, lo è stato.  Così meglio ventesimi che sul podio. Forse sul podio.  «Questa medaglia non darebbe lustro a nessuno, nemmeno a lui se ottenuta così – aggiunge il capo dell’atletica italiana- Nè il singolo risultato di Schwazer nè di nessun altro è per noi un risultato decisivo, deve essere figlio di un percorso. Credo che in questi momenti tutti dovrebbero tenere i toni più bassi. E Alex quella polemica se la poteva risparmiare”. Ma se la marcia dell’azzurro non passa per Rio, potrà riprendere almeno per i Mondiali di Londra 2017. «Ha tutto il diritto di pensare in futuro di potersi ricostruire una sua immagine positiva – spiega Giomi -. Se si vuole tagliare uno fuori da tutto si condanna all’ergastolo. Vale nella vita: se ti prendi una condanna e paghi e torni, hai gli stessi diritti degli altri. Ne faccio una questione di civiltà». Ma non senza condizioni.