Sempre più in bici, come nel Dopoguerra
L’Italia torna in sella e si rimette a pedalare. Sul serio, non è uno slogan. Corsi e ricorsi della storia di questo Paese che prima del boom economico degli anni Sessanta viaggiava e si muoveva in bici, poi ha scoperto la Vespa e la Seicento e, negli ultimi anni, sta tornando a spingere sui pedali. Ma se prima della guerra le automobili si potevano contare sulle dita di una mano perché i prezzi erano inavvicinabili e un litro di benzina costava 6 lire, che servivano ai più per comprarsi quattro chili di pane, oggi si torna a pedalare anche per tanti altri motivi. La bici va. Va e si vende, tant’è che tre anni fa in Italia c’è stato il «sorpasso» storico con 1 milione e 600mila biciclette vendute contro 1 milione e 400mila automobili immatricolate. Un dato storico su cui riflettere e far due conti perché non succedeva da anni. E la tendenza sembra ormai questa, come confermano i numeri diffusi dall’Ancma, l’Associazione nazionale del ciclo e motociclo. Anche nel 2013 infatti il primato è stato confermato e lo scorso anno con 1 milione e 644mila bici vendute il mercato ha fatto addirittura segnare un più 6,6 per cento. Vanno fortissimo, non a caso, proprio le City Bike che rappresentano il 32% delle vendite, seguite dalle mountainbike (31%) e dalle bici da bambino (18%). Discorso a parte per le bici elettriche e per le bici da corsa. Le prime (4%) sono arrivate sul mercato da pochi anni ma, anche se lentamente, le vendite sono in costante aumento; le «fuoriserie» da competizione (6%) rappresentano invece una fetta di mercato riservata agli appassionati che è però anche tradizione e storia in questo settore con marchi come Colnago, Pinarello, De Rosa che sono ormai vanto del made in Italy anche all’estero.
Una marcia in più
Ed è proprio l’export a trainare la nostra produzione: lo scorso anno infatti delle 2 milioni e 728mila bici prodotte ben 1 milione e 765mila sono finite fuori dai nostri confini. Non male con l’aria che tira. «Ma se gli italiani scelgono la bici non è solo perché la crisi ha costretto tanti a farsi due conti e questo tipo di mobilità può essere un risparmio – spiega Giulietta Pagliaccio, presidente della Fiab, la Federazione italiana amici della bicicletta -. Il ritorno delle due ruote è dovuto ad una serie di motivi primo tra tutti che, finalmente, anche nel nostro Paese si sta cominciando a diffondere una coscienza ambientale e del benessere». Vediamoli, allora, i motivi che spingono gli italiani a tornare in sella. Della crisi economica s’è detto. Ma se gli spostamenti in auto nella media giornaliera feriale sono scesi dagli 82milioni del 2008 ai 68 milioni del 2013 ci dev’essere dell’altro. Partiamo dalle grandi città. Milano, Roma, Torino hanno negli ultimi lustri radicalmente cambiato il loro rapporto con le auto soprattutto nei centri storici. Sempre più difficile e complicato muoversi ma soprattutto sempre più costoso tra tassametri, posteggi e ticket di ingresso. Insomma l’auto è un po’ tornata ad essere un lusso con cui fare i conti a fine mese. Ma non solo. Secondo alcune ricerche pubblicate da siti che si occupano di mobilità, l’auto è diventata nelle grandi città, che hanno ormai tutte problemi di traffico, uno dei mezzi meno veloci per gli spostamenti. Battuta, ovviamente dalle metropolitane dove ci sono, ma anche dai mezzi pubblici che ormai viaggiano sempre più spesso su corsie preferenziali.
Ciclabili: la strada è in salita
Secondo i dati forniti dalla Commissione europea per l’ambiente che ha effettuato una serie di rilevazioni nelle grandi città europee, il mezzo più veloce per spostarsi tra le vie cittadine è la bicicletta che batte moto, bus e auto, ultime classificate. Più veloci, soprattutto nelle grandi capitali europee però. Copenaghen, Amsterdam, Utrecht, Strasburgo, Eindhoven guidano la classifica delle città più ciclabili. Ma fra le prime venti non c’è neppure un’italiana. Secondo un rapporto recente di Legambiente, la città con più chilometri di piste protette è Padova con 174 chilometri ogni 100 chilometri quadrati, seguita da Torino (137 km per ogni 100km quadrati), Brescia (132,8), Modena (116,4) e Mantova (113,6). La città italiana dove invece ci sono più ciclisti in relazione agli abitanti è Bolzano dove pedala quasi il 30 per cento dei residenti. «Non siamo all’anno zero ma all’anno uno – spiega la presidente della Fiab -. C’è molto da fare anche se qualcosa si è fatto. Più al Nord che al Sud, dove la situazione è molto peggiore. Non è però solo un problema di piste ciclabili, di stazioni attrezzate e di posteggi ma anche di norme. Ad esempio andrebbero ampliate le zone con i limiti di velocità dei 30 chilometri orari». Ma non è tutto. La sfida è permettere di usare la bici in sicurezza in città ma anche fuori dalla città. La sfida è poterla lasciare parcheggiata in una stazione dell’hinterland senza l’angoscia di non trovarla più la sera quando si rientra dal lavoro e venire in città in treno. La sfida è poterla trasportare in carrozza e poi usarla tra le vie del centro. La sfida, in un linguaggio più tecnico, è l’intermodalità ed è già in parte cominciata. È di poche settimane fa infatti la firma dell’accordo «500 stazioni» tra Fiab e Rete ferroviaria italiana. Un progetto che ha come obiettivo migliorare l’accessibilità degli scali ferroviari e facilitare, a chi usa le due ruote, gli spostamenti con nuovi marciapiedi ciclabili, sottopassaggi, parcheggi.
Pedala che ti passa
Il progetto, come scritto nel Protocollo d’intesa, punta ad «attrezzare» in questo senso 180 stazioni a livello nazionale che dovrebbero negli anni diventare 500. Saranno realizzati nuovi stalli pavimentati e anche coperti riservati al parcheggio di biciclette, scivoli nelle scale dei sottopassaggi pedonali, ascensori portabici e verranno utilizzati locali non più funzionali alle attività ferroviarie per noleggio e manutenzione delle due ruote. Opere per le quali saranno presentati progetti ad hoc al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e che saranno realizzate in parte con i fondi già a disposizione di Rfi e in parte con i finanziamenti pubblici destinati alla mobilità sostenibile. E anche questo è pezzetto nel mosaico della nuova mobilità. Crisi economica e voglia di risparmiare, nuova coscienza ambientale, maggiore rapidità di movimento e ultimo ma non ultimo, un nuovo approccio più salutistico alla vita da parte di tanti. Che muoversi faccia bene ormai è una certezza. E dai diecimila passi che una persona dovrebbe fare quotidianamente per garantirsi la giusta dose di salute ai 5 chilometri di pedalata quotidiana che più o meno dovrebbero assicurare lo stesso risultato, il passo è breve. «Che ci sia una nuova coscienza legata allo stile di vita sano è indubbio – spiega il professor Gabriele Rosa, allenatore dei più importanti maratoneti al mondo, ma anche responsabile di progetti di recupero di pazienti diabetici, psichiatrici e tossicodipendenti attraverso l’attività sportiva -. Così come con la corsa, la bici è un’attività aerobica e permette a molte persone sedentarie di recuperare confidenza con il proprio corpo. Che tanti lo abbiano capito è fondamentale. Muoversi è il miglior farmaco per prevenire molte patologie. Correre o pedalare permette alla fine, magari con tempi diversi, di ottenere un miglioramento della propria qualità di vita. E il fatto che da Brescia a Milano siano sempre più le persone che scelgono la bicicletta come mezzo di trasporto è un segnale…».
Dall’ufficio alle ferie
Un nuovo stile di vita che per molti significa anche andare al lavoro in bici. «Bike work», si dice in inglese perché in alcuni Paesi anglosassoni è anche diventata una sfida lanciata ai dipendenti delle aziende che possono addirittura partecipare a un «campionato». Da quest’anno anche in Italia. Vince chi, durante l’anno con i propri dipendenti fa più movimenti casa-ufficio-ufficio-casa pedalando. Una cosa seria ma quasi un gioco: ci si iscrive al «challenge», si registrano tutti i chilometri percorsi su un sito e alla fine si vince un viaggio in Nuova Zelanda. E dal lavoro, dall’uso quotidiano per districarsi nel traffico si passa poi al tempo libero, ai viaggi e alle vacanze in bici che stanno diventando una moda e, ovviamente, anche un business. In Europa enorme se si pensa che questo settore genera ogni anno nel Vecchio continente un fatturato di 44 miliardi. Da noi parecchio meno, ma siamo in crescita. Come stima uno studio Ambrosetti per Confindustria Ancma, l’uso della bici per viaggi, ferie e weekend da noi vale 3,2 miliardi di euro l’anno. Lo scorso anno gli italiani che hanno scelto di andare in vacanza in bicicletta sono stati più di diecimila e i Bike-hotel (sono un migliaio gli alberghi che hanno strutture e servizi dedicati ai ciclisti ma il dato è in crescita) quest’anno hanno dato ospitalità ad oltre 1,5 milioni di turisti molti dei quali stranieri. Un modo nuovo di intendere le vacanze. C’è chi sceglie di muoversi con borse e bagagli viaggiando, spesso con famiglia, sui 18mila chilometri ciclabili oggi disponibili in Italia. C’è chi invece utilizza la propria auto come mezzo intermedio su cui caricare le biciclette per poi pedalare sulle 50 ciclovie che attraversano il Paese o sui 18 grandi itinerari turistici riservati alle due ruote