Rondelli: “Cova e Panetta? Avevano più voglia di far fatica…”
Cova…Cova…Cova così come lo raccontava Paolo Rosi nel 1983 ai mondiali di Helsinki. Poi Francesco Panetta, “diesel” come lo chiamavano tutti perché veniva fuori alla distanza e non ce n’era per nessuno. E furono medaglie, ori e argenti olimpici e mondiali. Ma anche Danilo Goffi, maratoneta senza età che ha corso fino a ieri dopo aver messo in bacheca maratone e titoli europei. Tutti passati dalle mani sapienti di Giorgio Rondelli, un pezzo di storia dell’atletica azzurra. Ma in più di trent’anni di carriera anche tanti altri campioni , una sessantina convocati nelle nazionali maggiori per 76 campionati italiani nelle diverse specialità e categorie. Rondelli che oggi allena un gruppo di atleti di varie nazionalità del Cus ProPatria Milano su fondo e mezzofondo, ieri pomeriggio era in centro a Milano, nella sede della Twenty Hours di largo Cairoli per spiegare a chi corre da “tapascione” cosa si deve fare e cosa invece andrebbe assolutamente evitato. “E’ cambiata l’atletica? Certo che è cambiata…Una volta gente come Cova, Panetta, Goffi avevano meno distrazioni. C’era meno di tutto. Oggi ci siamo imborghesiti. Oggi i ragazzi si lasciano distrarre più facilmente. Ed è’ un po’ cambiato anche il concetto di fatica. Una volta un allenamento duro di un’ora e mezzo era la regola, oggi quell’ora e mezzo è diventata un’ora…”. Giorgio Rondelli fa fatica a parlare agli amatori. E’ abituato a lavorare con macchine da Formula Uno che si allenano, corrono e recuperano con tempi da formula uno. Un altro mondo, il suo. Però da qualche tempo un’occhiata agli amatori ha cominciato a darla: “Perché alla fine la filosofia è la stessa. Siamo macchine, bisogna mettere telaio e motore nella condizione migliore per andare più forte possibile ma poi ciò che conta è la testa. Perché si può anche avere a disposizione la macchina migliore ma se poi chi guida usa solo due marce…”. E allora, anche se la ricetta magica non esiste, la regola è quella di variare, cambiare ritmo, velocità e percorsi durante gli allenamenti. Anche per i tapascioni che però non sono tutti uguali. Così gli allenamenti vanno differenziati, gli atleti vanno divisi in gruppi e anche gli obbiettivi cambiano: “Correre tutti insieme è sbagliato. Alla fine i migliori si adeguano ai peggiori emergono solo le negatività. Tempo fa allenavo un gruppo di amatori che chiamavo “Romagna mia” perché correvano e se la raccontavano tirando dentro anche chi poteva andar più forte. Così li ho divisi. I più lenti partivano davanti, i più veloci due minuti dopo con l’ordine di raggiungerli. Alla fine sono migliorati tutti: quelli davanti che spingevano per non farsi prendere, quelli dietro che acceleravano chiudere il buco”. Ma c’è chi corre al parco nell’intervallo di pranzo magari per staccare un po’ dalle beghe di lavoro e farsi una chiacchierata con gli amici: “E’ un’ottima cosa, si può fare po’ ma ogni tanto bisogna cambiar ritmo. Provare a darsi degli obbiettivi, abbassare il tempo su giro, provare un fartlek, alternare la corsa veloce con quella lenta, alzare il ritmo nelle zone di recupero…”. Tempi e velocità, gira sempre tutto intorno a lì. D’altronde per uno abituato da sempre ad allenare campioni olimpici e mondiali non può essere altrimenti. “Conta il peso? Conta tantissimo. Bisogna sempre fare moltissima attenzione al peso. Vale per tutti a tutti i livelli anche se i problemi maggiori li ho sempre avuti con le donne. Per gareggiare a certi livelli anche un chilo in più diventa un guaio, ma può diventare un problema anche l’eccessiva magrezza”. Fatica, cuore, obbiettivi e talento. Ma non sempre bastano. “Certo, è importante la tecnica. Ci sono tanti amatori che corrono male. Chi con il busto troppo indietro che invece andrebbe portato un po’ in avanti, allineando spalle e ginocchia. Chi trascinandosi, chi senza usare la spinta delle braccia che invece sono importantissime. E poi gli appoggi dei piedi che sono faondamentali e vanno allenati. Basta guardare cosa fanno gli etiopi quando si allenano per migliorare questa tecnica, sembra quasi un balletto…”. E poi la maratona, la madre di tutte le gare: “Dipende da cosa si vuol fare. Se uno vuol correre solo per arrivare io gli consiglio di non farlo proprio il lungo. Se devi fare una prestazione straordinaria tanto vale tenersi tutte le energie per il giorno della gara. Discorso completamente diverso per chi corre su tempi differenti, sotto le tre ore o giù di lì. Su un fisico ben allenato tre mesi per preparare una 42 chilometri sono sufficienti. Poi però bisogna valutare anche tante altre cose. Dalle tecnica, all’alimentazione, ai lavori specifici…Insomma un discorso doverso”. Discorso diverso o il solito discorso. Perché i campioni sono una cosa e gli amatori un’altra. Rondelli mezze misure non ne ha : ” I 25 mila della Deejaten sono un buon segnale per l’atetica? No. Io direi che 25 mila della Deejaten sono un buon segnale solo per gli organizzatori di quella gara….”