Donne in bici, pedalate di libertà
Non che sia fondamentale che sedici donne straniere imparino a Milano ad andare in bici. Ci mancherebbe. Ma è chiaro che pedalare non è la stessa cosa in tutte le parti del mondo. In molti Paesi musulmani infatti è proibito, a volte vergognoso, comunque malvisto e mai incoraggiato. Così le donne restano ferme, inchiodate dal pregiudizio e da un retaggio culturale che limita mobilità e libertà alla ricerca di un’emancipazione che passa anche da queste, piccole, conquiste. Ed è chiaro che allora «Mamme in bici», il progetto di Cyclopride partito la scorsa settimana nell’istituto omniconprensivo Luigi Cardorna, che permetterà a sedici donne extracomunitarie di imparare ad andare in bicicletta, diventa tutta un’altra cosa. Pedalare diventa un’altra cosa. «Sì, certo la bicicletta si trasforma nello strumento per la conquista di una libertà- racconta Ercole Giammarco, presidente di Cyclopride– Diventa il mezzo per riappropriarsi di un diritto che può essere un passo importante per una maggiore indipendenza e quindi anche verso l’integrazione». Non a caso si parte dall’omnicomprensivo di Luigi Cadorna in via Carlo Dolci, in zona San Siro, uno degli istituti milanesi più multietnci in uno dei quartieri più multietnici e complicati della città. Una scuola dove si contano studenti di oltre trenta nazionalità e che può diventare un vero e proprio laboratorio in una città per far incontrare etnie e culture molto spesso tra loro distanti. Si parte da qui per andare altrove, per raccontare una storia che domani sera alle 19.45 racconterà anche Radiocorsa su Raisport 1. «Il progetto che è realizzato anche grazie alla Onlus Mamme a Scuola– spiega il presidente di Cyclopride- prevederà anche una raccolta fondi che speriamo ci permetta in futuro di estenderlo anche ad altri istituti e, perchè no, anche ad altre città. Intanto siamo riusciti raccogliendo pochi fondi per le attrezzature e ringranziando un’azienda che cui ha messo a disposizione le biciclette a partire…». Le lezioni sono ogni martedì mattina. In cattedra, ma forse è il caso di dire in sella, alcune studentesse dell’Università Bocconi specializzate nell’intermediazione culturale che si preoccuperanno di spiegare come si sta in equilibrio, come si parte e come ci si ferma ma ovviamente anche dell’altro. Non semplice, da qualsiasi parte la si prenda. Due mesi cominciando a pedalare nei corridoi e nel cortile della scuola, cominciando a capire come vanno letti cartelli stradali, come ci si deve comportare in strada e come ci si debba «difendere» dal traffico automobilistico. Un piccolo passo per un’emancipazione che anche a Milano non poi così è scontata: «Pochi giorni fa l’iniziativa è stata presentata da un’inviata di Striscia La Notizia all’Imam di Segrate- racconta Giammarco- e sinceramente la risposta che è arrivata è quella che non avrei voluto sentire. Non ha bocciato il progetto, ma ha fatto capire che nelle loro cultura le donne sono un bene prezioso quindi sarebbe meglio non girassero in bici che viene considerato un mezzo povero…». Povero o no la bici va. É arrivata poche settimane fa fino ad Oslo, dove Paola Gianotti, che pedalando ha fatto il Giro del Mondo, ha consegnato le 10mila firme necessarie per la candidatura della bicicletta al premio Nobel. Che ovviamente non sarà dato alla bici ma, se mai sarà, verrà assegnato alle ragazze della nazionale femminile afghana di ciclismo che per pedalare rischiano anche la vita. «Certo, con le dovute differenze il discorso è lo stesso- spiega il presidente di Cyclopride- La bici può diventare lo strumento per diffondere messaggi che vanno dalla pace, all’emancipazione, al benessere. Messaggi che non hanno bisogno di appoggiarsi a nessuna ideologia, come purtroppo tendiamo a fare noi nel nostro Paese. Chi usa la bici in Italia è di sinistra? Non è così. E’ solo più furbo…»