Pasticcio olimpico
Pasticcio olimpico. Candidare tre città per non scontentare nessuno e quindi scontentare tutti. Va così. Dopo tanto attendere, dopo le candidature e i dossier arriva una decisione politica nel più classico stile “made in Italy”. Il Coni ha deciso che sarà la candidatura unitaria Milano-Torino-Cortina quella da sostenere per le olimpiadi invernali 2026. Una vera “candidatura italiana” ha annunciato Giovanni Malagò, numero uno del Coni, che è la via giusta per organizzare i Giochi e che prende il meglio da tutti i dossier, risparmiando denari come gli chiedeva il governo, visto che la candidatura congiunta potrebbe costare al massimo sui 400 milioni che sono un nulla se si raffrontano, tanto per fare un esempio, ai 50 miliardi spesi da Vladimir Putin per gli ultimi giochi di Sochi. Milano, Cortina e Torino tutte sullo stesso piano dunque, senza una città faro, senza che si possa dire che i Giochi 2026 ( semmai l’Italia dovesse spuntarla) saranno quelli di Milano, di Cortina o di Torino, appunto. Vale la logica dei campanili che nel nostro Paese non è mai sopita e così sono già cominciati i malumori e i distinguo. Per Giuseppe Sala ha vinto la politica, la logica della politica ed era ciò che più temeva:”Leggo le dichiarazioni del presidente del Coni Giovanni Malagò- spiega subito il sindaco – e condividendone lo spirito, ribadisco la necessità di una chiara identificazione della governance della candidatura. L’esperienza in Expo mi ha insegnato quanto sia fondamentale per il rispetto dei tempi e per la qualità del progetto una precisa identificazione delle responsabilità della gestione del processo di candidatura e poi, auspicabilmente, della realizzazione. Milano vuole essere un’opportunità per le Olimpiadi italiane, nella consapevolezza che un’impresa del genere è gestibile solo con scelte precise”. Tradotto ciò significa che Milano se non si sfila, comunque fa un bel passo di lato pronta ad offrire i suoi impianti ma non ad organizzare. Anche perchè organizzare un evento olimpico non è uno scherzo e l’idea di condividere luoghi, strutture ma soprattutto decisioni non piace a chi, come Sala, ha già fatto un’esperienza simile sulla sua pelle organizzando Expo. Non solo. Milano sul piatto aveva messo, oltrechè una compatta disponibilità politica in consiglio comunale ( l’unica delle tre città a votare senza strappi), tutto ciò che è oggi questa città maturata e cresciuta con Expo, con un sistema aeroportuale e di accoglienza che funziona, con un incremento di presenze turistiche che ne fanno una delle metropoli più visitate d’Europa. Quindi se si tratta solo di far parte del gruppo, Milano non è disposta a spendersi più di tanto. Anche perchè «le Olimpiadi vanno fatte certamente per chi vive nella città sede ma anche per la gente che ci deve arrivare- aveva ricordato Sala nei giorni scorsi-. Ogni anno i nostri aeroporti trasportano 44 milioni di persone, c’è un’infrastruttura particolarmente adatta agli eventi. E anche dal punto di vista dei media questa città potrebbe essere il palcoscenico ideale». Potrebbe. Ora più che mai il condizionale è d’obbligo anche se Malagò ha provato a metterci una pezza: “La governance dei Giochi?- ha detto il presidente del Coni- Sarà decisa solo quando si arriverà ad una candidatura ufficiale”. Ma basterà a calmare le acque?