“In fondo, la bicicletta altro non è che una povera bonaria concessione alla nostra ansia di andare. Dunque uno strumento. Non avesse avuto i gusti estetici che sappiamo, amando per conseguenza il cavallo come il miglior modello dopo l’uomo, forse Leonardo avrebbe concepito l’idea della bicicletta dopo aver inventato il differenziale. La costruirono invece, utile, ma certo antiestetico complemento della loro natura comune, uomini che il genio non innalzava. E rimase poi sempre com’era, nel suo concetto fondamentale: un aiuto alle nostre povere gambe negate al moto veloce. Uno strumento suppletivo. Sinché non venne allo sport Fausto Coppi…”. Così scriveva Gianni Brera raccontando il campionissimo che era tutt’uno con la bici, amalgama assoluto tra muscoli e meccanica. Filippo Ganna non è Fausto Coppi, non lo sarà mai: campioni diversi, ciclismi diversi, epoche diverse e diversi talenti  ma bastava vederlo oggi nel cronoprologo del Giro da Monreale a Palermo per capire che questo ragazzone di Verbania di un metro e 93 centimetri per 83 chili quando pedala è la perfetta sintesi tra armonia e potenza. Spinge un 60×11,  rapporto assurdo per tutti gli altri esseri umani, senza far mai fatica. O almeno così sembra. Dissimula lo sforzo nella rotondità  di una pedalata sempre fluida sconcertante per la  facilità. Eppure vola. Vola a 58.8 chilometri orari lasciando il vuoto dietro di sè, lasciando il portoghese Joao Almeida  e il danese Mikkel Bjerg per andare a vestirsi di rosa nel primo giorno del Giro come nel 2011 aveva fatto l’ingegner  Marco Pinotti.  Una cavalcata reale, con la maglia iridata e con un bolide tutto dorato che Pinarello ha costruito appositamente per lui. Bici, uomo e una fusione meravigliosa. Bici e poesia. Bici e Filippo Ganna che non è Fausto Coppi ma pare ancora di leggerlo Gianni Brera quando raccontava il Campionissimo: “Una struttura morfologica che, arricchendosi di un mezzo meccanico da spingere stando seduti, assurgeva a potenza incredibile e spaventosa…”