Pedalare oltre confine si può? Ma è giusto farlo?
Uno dei compiti originari della dottrina pura del diritto è quello di evitare ogni confusione tra il concetto di norma giuridica e quello di norma morale e in tal modo assicurare l’autonomia del diritto dalla morale. Hans Kelsen, giurista austriaco e filosofo del diritto tra i più importanti del ‘900, nella sua Teoria pura del diritto spiega bene la differenza considerando la morale come luogo in cui si esercitano giudizi di valore assoluto sempre determinati da fattori emotivi e il diritto luogo in cui la norma trova la sua essenza in un giudizio essenzialmente fattuale e scientifico dove il bene è solo ciò che è conforme alla legge. Una differenza fra diritto e morale si può dunque vedere non in ciò che viene prescritto o vietato ma nel modo in cui si prescrive o si vieta un certo comportamento e nelle sanzioni che la norma dispone o che ( per quanto riguarda la morale) dispone la propria coscienza. Senza farla troppo lunga, che non è il caso, nel dibattito che si sta scatenando in queste ore sul Dpcm del presidente del consiglio riguardo l’attività sportiva e la possibilità di chi si allena in bici di sconfinare dai territori del proprio comune di residenza, diritto e morale un po’ c’entrano. Probabilmente si può per chi si allena, per chi è tesserato, per chi lo sport lo fa sul serio “sconfinare” per chilometri sfidando lo zelo di qualche vigile e far valere le proprie ragioni norma alla mano. Ma sarebbe il caso di chiedersi quale sia la ratio vera della disposizione. E cioè limitare gli spostamenti tra i territori alle sole esigenze essenziali visto il dilagare della pandemia. E qui la valutazione non è più giuridica ma diventa morale: si può fare? Ognuno ha la sua coscienza e farà ciò che meglio crede.