Arrivederci Roubaix.   La storia si arrende e  l’edizione 118, che lo scorso anno è saltata e si sarebbe dovuta correre domenica 11 aprile, slitta al 3 ottobre ovviamente augurandosi e sperando che il delirio pandemico dia una tregua. E così saranno due anni, 5 mesi e 59 giorni senza quello che per il ciclismo è il rito laico da santificare. Festa di popolo e di sport  che vale una stagione e spesso una vita. Monumento insieme col Lombardia, con il Fiandre, con la Liegi e la Sanremo. Monumento che , senza mancare di rispetto, però è un po’ più monumento di tutti gli altri.  Una storia lunga quasi 260 chilometri da   Compiegne al Velodrome:  tra racconto infinito e  magia,  sempre con le stesse pietre numerate, con i settori, con gli stessi tifosi che una volta erano ragazzini e ora ci portano i figli, con riverenza e rispetto come se si pedalasse nelle sale di un museo, con le casette ordinate  che sfilano via inquadrate dagli elicotteri,  con gli stessi colori e con lo stesso cielo basso che ti avvicina ai mari del Nord. Con il mondo davanti alla tv,  con le solite facce stravolte e sporche di fango, con le stesse smorfie e con la stessa fatica. Però forse questa è l’unica corsa in cui le facce contano meno. Chiunque arrivi, chiunque vinca, chiunque abbia la fortuna e l’ onore di alzare le braccia sul traguardo di quel velodromo si stampa nella gloria. E diventa un uomo di Roubaix. Uno dei tanti ma unico. Speciale. Perchè quello degli eroi di Roubaix è il circolo più esclusivo del mondo. Un’enclave che va oltre il tempo. Basta una volta. Due sono tante, oltre diventa mito.  Che però anche quest’anno non è bastato a garantire che la storia non si interrompesse.  Da qualche settimana tirava brutta aria e le parole di Michel Lalande, il Prefetto dell’Alta Francia, erano risuonate come le campane a morto: “Non ci sono le condizioni di sicurezza e non possiamo transennare tutta la corsa…”.  Dettagli da burocrate per chi vive di passioni. Per un po’, ma non troppo e non quanto forse si doveva, i francesi ci hanno anche provato a difenderla la Roubaix, hanno tentato di convincere il prefetto che una soluzione c’era magari sacrificando la Foresta dell’Arenberg, due chilometri e mezzo di vera leggenda. “Molti da queste parti erano pronti a strapparsi il cuore per salvare la Roubaix…” ha detto all’Equipe, il direttore dell’Aso e del Tour Christian Prudhomme. Ma non è bastato. Au revoir Roubaix..