Jannik Sinner dice no alle Olimpiadi di Tokyo. Il tennista azzurro lo ha annunciato sui social che sono diventati ormai lo specchio virtuale della nostra esistenza: «Non è stata una decisione facile da prendere – scrive – ma ho deciso di non partecipare ai Giochi Olimpici quest’anno. Rappresentare il mio Paese è un privilegio e un onore e spero di poterlo fare per tanti anni. Non ho giocato il mio miglior tennis negli ultimi tornei quindi devo concentrarmi sulla mia crescita….».  Fine. Con buona pace del barone  De Coubertin che diceva che ai giochi si va soprattutto per partecipare.  Ma come si fa a vent’anni a dire no ai Giochi olimpici? Come si può rinunciare alla più grande manifestazione di sport che la storia ci ha consegnato come un sogno da tramandare? Certo ormai lo sport è business e politica e anche i Giochi non sono più quel rito religioso-militare in cui l’atleta incarnava l’ideale eroico, linea di congiunzione tra l’uomo e l’universo divino, che si batteva per la gloria propria, della famiglia e della città. Gli eroi cantati da Omero ovviamente non ci sono più e pazienza. Ma per un atleta le Olimpiadi restano l’appuntamento di una vita. O non più, perchè il no di Sinner segna forse in modo definitivo il solco tra ciò che è stato e ciò che sarà. Segna la fine dell’utopia olimpica che deve fare i conti con le guerre che non si interrompono più, con la paura degli attentati, con gli sponsor che dettano i tempi e le condizioni, con i governi che decidono dove, come e quando si dovranno fare. Rischia di cancellare il sogno di uno sport che, nonostante tutto, ogni quattro anni trova gli anticorpi per rigenerarsi, per resistere alle logiche di chi fa di conto. Non tutti per fortuna. Non un mito azzurro del tennis e dello sport come Corrado Barazzutti: “Fa impressione vedere Djokovic a 34 anni entusiasta di partecipare alle Olimpiadi e dispiace vedere Jannik Sinner 20 anni mortificare la più alta competizione mondiale come valori alla quale nessun atleta senza problemi fisici rinuncerebbe per niente al mondo- scrive- Sinner ha già rinunciato due volte alla Coppa Davis. Evidentemente se non si crede in certi valori se non valgono certi principi tutto sommato meglio stare a casa…”. Gioco, partita e incontro.  Ma c’è da scommetterci che anche a Tokyo nonostante il Covid,  la paura, i contagi e il pubblico che non ci sarà il rito dei Giochi tornerà a rinnovarsi. Al di là dei cronometri, dei record, dei primati delle vittorie e delle sconfitte vinceranno le emozioni, la fatica, i sorrisi, i pianti, gli abbracci, i pugni chiusi, le braccia al cielo, le strette di mano, le carezze e gli sguardi che fermano un momento irripetibile di una carriera e di una vita. Perchè lo sport è questa “roba” qui. Basta solo cogliere l’attimo. E Sinner non ne è stato capace. Peggio per lui.