«Le 40 medaglie azzurre di Tokyo sono quanto di più fantastico sportivamente potesse capitare al nostro Paese, un’ubriacatura meravigliosa che però nasconde un pericolo enorme e cioè l’illusione che lo sport italiano sia il migliore, e in un certo senso lo è, e che quindi non ci sia nulla da fare perchè se abbiamo vinto così tanto siamo a posto così. Invece da fare c’è moltissimo per i giovani, per le tante società sportive che annaspano e che non hanno le certezze dei gruppi militari e per la diffusione di una cultura dello sport che da noi ancora non c’è…». Il professor Franco Ascani, membro italiano della commissione cultura del Cio ed organizzatore (tra le tante cose) di quei Trofei di Milano che dal 1964 hanno portato a far sport all’Arena tre milioni e mezzo di studenti milanesi, di edizioni delle Olimpiadi ne ha seguite quattordici. Ognuna è una storia da raccontare ma l’ultima che si è chiusa domenica ha incantato tutti perchè da Marcell Jacobs a Gianmarco Tamberi, da Filippo Ganna a Antonella Palmisano, da Federica Pellegrini a Greg Paltrinieri passando da Filippo Tortu a Fausto Desalu le tre settimane olimpiche sono state un crescendo di emozioni che hanno coinvolto un Paese intero.

«Quella che resta è una eredità formidabile dal punto di vista emotivo e dello sprone- spiega Ascani- ma non deve abbagliare. La rivoluzione culturale dello sport di cui ha parlato il presidente Giovanni Malagò deve partire da questi successi ma questo è solo il primo piccolo passo. Bisogna immaginarsi una piramide, sulla cima ci sono le medaglie e i campioni, alla base migliaia di società sportive che a settembre devono riaprire gli impianti, fare i conti con gli affitti da pagare, con i protocolli Covid da applicare, con i volontari che sono sempre meno e con l’adeguamento di strutture spesso inadeguate che hanno costi che non si pagano con la gloria…».

Una situazione, quella dello sport di base, complicata di suo da sempre e resa ovviamente più drammatica da una pandemia che per quasi due anni ha costretto tante realtà piccole a tirare la cinghia se non a chiudere perchè quando c’è crisi economica le prime voci che le famiglie tagliano sono proprie quelle relative alla spesa per la pratica sportiva dei figli. «Sì è così- conferma Ascani- Per questo l’emozione olimpica bisogna far sì che resti un’onda lunga, deve servire per stimolare politica, governo, amministrazioni ad investire subito e magari di più per garantire la pratica sportiva che, val sempre la pena di ricordarlo, non è il divertimento di pochi, ma un diritto di tutti oltrechè una garanzia di benessere economicamente vantaggiosa per i conti dello Stato».

Ovviamente il discorso riguarda direttamente la Lombardia, che è la regione che con 19 medaglie ha vinto di più ma che è soprattutto la regione che tra un lustro, insieme con il Veneto, ospiterà i Giochi olimpici invernali: «L’errore più grande che si possa fare è pensare che Milano-Cortina 2026 sia tra cinque anni- ammonisce Ascani- Quei giochi bisogna iniziare a disputarli ora altrimenti non serviranno a nulla. Basta pensare a quale misera eredità abbia lasciato l’olimpiade invernale di Torino per capire il rischio che si corre. Bisogna cominciare da subito a sfruttare l’effetto olimpico con eventi che coinvolgano i ragazzi nelle scuole ma soprattutto che coinvolgano le tante realtà sportive sul territorio, società più o meno piccole che sono una risorsa fondamentale e che organizzano ogni domenica tra mille difficoltà economiche e burocratiche manifestazioni di cui spesso nessuno sa nulla al di fuori dei confini dei loro comuni…».

Un mondo di passione e volontariato che Covid e lockdown hanno pesantemente minato e che andrebbe invece sostenuto e coinvolto. «Innanzitutto aiutato finanziariamente – spiega Ascani- Perchè è sbagliato pensare quando si parla di investimenti che il problema dello sport nelle piccole realtà della regione o dei comuni sia solo quello degli impianti. Lo sport non muore perchè non ci sono impianti che non è sempre vero ma muore perchè chiudono le società che portano i ragazzi ad allenarsi negli impianti. Allora il primo passo è quello di coinvolgerle in un progetto olimpico cominciando, ad esempio, a realizzare un calendario che indichi tutte le gare che si svolgono, chi le organizza, come ci si iscrive. Una iniziativa che deve coinvolgere il Coni regionale ma anche le amministrazioni, le federazioni, l’Anci. Si deve partire anche da qui. Credo che dare risalto agli eventi su cui vivono le piccole società possa in un certo senso essere più utile che non l’arrivo del Giro d’Italia a Milano che poi alla fine è spesso solo una passerella per pochi».

E poi lo sport nelle scuole. Che è necessario e va portato nelle classi al di là dei protocolli e dei tavoli perchè poi basta che non si trovi un bidello che ha le chiavi della palestra e si blocca tutto. «C’è tanta buona volontà da parte di insegnanti e istituzioni ma il fatto che i bambini siano stati costretti per mesi a restare in casa per la quarantena alla lunga pesa- spiega Ascani- Noi con i Trofei di Milano prima che scattasse l’emergenza fortunatamente qualcosa siamo riusciti a fare. Nella prima parte dell’anno scolastico abbiamo coinvolto gli studenti con la parte didattica del nostro programma che prevede lezioni di storia olimpica, proiezioni, la realizzazione di disegni per immaginare il logo dei Giochi. Ora speriamo che si possa tornare alla normalità».

 

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