C’è un modo nuovo per scoprire che a una ventina di chilometri da Milano città c’è un mondo lontanissimo dai suoi riti frettolosi. Un mondo fatto di campagne, sterrati, cascine, borghi e abbazie da raggiungere magari in bici come hanno fatto questa mattina i tanti ciclisti che , partendo dalla Canottieri San Cristoforo,  hanno partecipato alla «Milano gravel roads» una sfida organizzata da Turbolento SSd che non è una gara ma un vero e proprio viaggio nella tradizione rurale lombarda. Da una parte il naviglio e dall’altra la sponda del Ticino. In mezzo la terra di nessuno che si perde all’orizzonte tra un antico profumo di legna bruciata nei camini e i solchi lasciati nei campi lavorati dai trattori. Strade, stradine, sentieri, prati, marcite che, senza la traccia Gps del Garmin, diventano un dedalo da cui è quasi impossibile venir fuori. È un attimo perdersi nel nulla di una pianura infinita. Perché la magia è tutta qui. È che pedali per tre, quattro, cinque ore e non incontri un’auto. Nessuno che ti sfiora, che romba, che accelera, sgasa e suona. Qui i ciclisti non sono d’impiccio. Magia della «gravel», nuova frontiera del ciclismo. Che in inglese significa ghiaia e che si traduce in un mezzo fantastico che è una via di mezzo tra una bici da corsa e una mountainbike e che ti permette di andare praticamente ovunque. La gravel è la misura perfetta quando la misura è colma, per chi ne ha abbastanza del traffico e dei pericoli. Serve a dare un taglio, a cambiar strada per un ciclismo più da viaggiatori che da velocisti. E su questa via in parte sterrata e in parte no si sono avventurati oggi quelli della «Milano Gravel roads». Un giro da 70, 100 o 155 chilometri tra le campagne del Parco Sud in un triangolo immaginario che va da Milano a Vigevano a Pavia. Si passa dal borgo di Cassinetta, da Bernate, si attraversa una prima volta il Ticino sul ponte di Turbigo e, tra sterrato e asfalto, si raggiunge la piazza Ducale di Vigevano. Da lì, sempre alternando tratti di asfalto e di sterrato, boschi e rogge si passa nuovamente il Ticino sul ponte delle barche di Bereguardo per rientrare verso Milano dalla strada di Morimondo e dall’alzaia del Naviglio Grande. Una pedalata faticosa il giusto e senza tempo perché qui non vince nessuno anche se poi in realtà vincono tutti. Un viaggio alla scoperta di un territorio dove ancora si lavora la terra e che nasconde i segni di un passato che ci ha lasciato in eredità gioielli come la ville storiche sui navigli, la piazza Ducale di Vigevano o l’abbazia di Morimondo. La bici come sempre riesce a mettere insieme tutto. Incolla le emozioni in una filosofia che, anche per chi non vuol capire è facile da spiegare. Pedalare è un modo per star bene, per ritrovare gli equilibri, per prendersi una pausa e tornare a pensare. Si va più lenti, senza fretta, sulle strade meno battute in assoluta libertà, cambiando i ritmi perché è facile fermarsi e ripartire. Con le deviazioni inaspettate, con le mappe che spesso si perdono, con le soste impreviste perché si incontra un borgo, una trattoria, uno scorcio che merita una foto. Con il sole, con la pioggia, con gli imprevisti perché capita (eccome se capita…) di forare e di riparare, di sporcarsi le mani di grasso, di dovere fare i conti con qualche bullone che si allenta, di dovere metter mano a brugole e cacciaviti. Pedalare è sudore, sono gambe che fanno male, vento sempre in faccia, freddo e mani che si informicolano. Pedalare è spesso solo fatica. Ma non ha prezzo.