C’erano una volta gli oratori e, in una sonnacchiosa domenica di paese, tornano alla mente. Tanti anni fa non è che si potesse troppo scegliere. Se non c’era troppo da studiare per il lunedì la festa trascorreva tra la partita di calcio la domenica mattina e un pomeriggio a scelta tra il cinema di seconda visione  oppure l’oratorio. Questo passava il convento e soprattutto permetteva la “mancettta” che ti obbligava a far di conto perchè, se facevi il fenomeno la domenica, poi tiravi la cinghia per tutta la settimana. Così il pomeriggio volava via tra il ping pong, il calciobalilla, una cioccolata calda con la panna e un rientro verso casa in bici prima che facesse buio giusto in tempo per vedere i gol del campionato che avevi immaginato ascoltando la radio a Novantesimo Minuto. Belli però gli oratori. Belli perchè allora, e per fortuna anche oggi, erano un luogo che dava una possibilità a tutti. Non servivano iscrizioni, tessere, certificati…Si andava, si entrava  e si giocava: alti, bassi, grassi, magri, belli brutti, maschi, femmine… Di solito a calcio ma spesso anche a basket, a pallavolo, a palla prigioniera a ciò che capitava. Essere capaci non era un requisito richiesto. Tutti in campo facendo le squadre a pari e dispari e dividendosi in modo equo fenomeni e “pippe” con il Don ad arbitrare. Il bello degli oratori, che in Italia sono 8.245 e sono  frequentati dall’80% dei ragazzi fra gli 8 e gli 11 anni di cui uno su due straniero è,  come ha spiegato l’arcivescovo di Milano monsignor Mario Delpini, “che sono ancora un luogo profetico dove la fede non è un fatto privato”. La platea è vasta: solo in Lombardia tra preadolescenti e adolescenti  vengono frequentati da 470.000 ragazzi circa. Belli gli oratori perchè non sono “club” dove entrano solo i soci, perchè anche oggi, in un mondo dove tutto  si compra e si paga, si entra gratis e perchè sono un avamposto che, virus permettendo, permette ancora ai ragazzi di parlarsi, guardarsi negli occhi, di ridere, scherzare, suonare, cantare e litigare. Ripete spesso Papa Francesco che “nell’educazione abita il seme della speranza”. E gli oratori, al di là delle convinzioni religiose di ognuno,  restano un luogo di educazione e di confronto dei processi educativi. Vale per tutto. Per la fede, la crescita, lo sport. Sì,  anche per lo sport. Fare sport in un’oratorio non è come fare sport in una delle tante società sportive che, con altre prospettive, svolgono quotidianamente un grandioso lavoro di reclutamento e di formazione dei ragazzi. Nè meglio, nè peggio ma diverso. Fare sport in oratorio è un’altra opzione, è una sfida che punta a non lasciare nessuno indietro, è un campionato a sè dove giocano tutti, dove si vince, si perde e si vince anche se si perde. Pierpaolo Triani, docente di Pedagogia generale dell’Università Cattolica qualche tempo fa spiegava durante una giornata di studio che «L’educazione è un fenomeno collaborativo e per affrontare le sfide educative attuali c’è bisogno di oratori vitali, capaci di elaborare nuove proposte…”. Che ovviamente si spera continuino ad arrivare. Perchè c’erano una volta gli oratori ma c’è tanto bisogno che ci siano ancora…