«È una situazione assurda, io sento Mykhailo Romanchuk tutti i giorni. Abita in periferia a Kiev, ieri mi ha detto che si sta spostando, perché sente le sirene. Vuole combattere per il suo Paese, credo si stia già organizzando per farlo». Così aveva raccontato un paio di giorni fa il campione azzurro di nuoto Gregorio Paltrinieri, testimoniando come gli sportivi ucraini siano in molti casi non sui campi di gara ma al fronte. Una guerra che annichilisce tutto, sport compreso purtroppo, nonostante le paralimpiadi in corso. La Russia infatti ha aspettato la fine dell’Olimpiade ma non quella delle Giochi paralimpici violando una la tregua olimpica che sarebbe dovuta finire il 20 marzo, cioè sette giorni dopo. E il prezzo da pagare è alto. E di oggi l’annuncio della morte di Alexander Kulyk, 65enne tecnico della Nazionale di ciclismo ucraina e padre dell’ex ciclista Andriy Kulyk tre anni fa campione nazionale . A dare la notizia è stata la rivista britannica di ciclismo Cycling Weekling  raccontando che il tecnico ucraino, che anni fa era stato anche allenatore della squadra russa,  stava partecipando un’operazione militare per evacuare alcune persone dai luoghi più pericolosi della capitale quando è stato vittima di un attacco russo. Una morte che si aggiunge  a quella di altri sportivi nei giorni scorsi: il  21enne Vitalii Sapylo e del 25enne Dmytro Martynenko. Il primo, calciatore del Karpaty militante nella terza divisione del campionato ucraino uccciso in una battaglia vicino a Kiev; il secondo invece, attaccante dell’Hostomel FC (seconda divisione) morto insieme alla madre in seguito a una bomba caduta sulla loro casa. Qualche giorno prima era deceduto anche il 20enne Yevhen Malyshev, nazionale juniores di biathlon