Lo sport unisce, va al di là delle guerre e non discrimina… Tutte storie. Lo sport con la decisione dell’ All England Club di escludere i tennisti russi e bielorussi dall’edizione numero 145 di Wimbledon non c’entra proprio niente. La decisione senza precedenti è stata presa dal comitato organizzatore del torneo londinese in accordo con il governo britannico, schierato in prima linea sul fronte occidentale nella rappresaglia antirussa. Dopo aver imposto sanzioni durissime a società e oligarchi ritenuti vicini al Cremlino, che sono costate al Premier Boris Johnson e a numerosi membri del suo governo l’interdizione ad entrare in Russia, ora Londra estende le sue ritorsioni anche in ambito sportivo al più antico e importante torneo al mondo con la reazione di Mosca che parla di «decisione inaccettabile». Ma la guerra è guerra. E che lo sport finisca nel tritacarne degli interessi della politica e del conflitto è naturale conseguenza. Anche perchè sull’erba del Centrale avrebbero potuto giocarsela da protagonisti la bielorussa Aryna Sabalenka, numero 4 del ranking mondiale, la sua compatriota ex numero uno Victoria Azarenka ma soprattutto il numero due al mondo tra gli uomini Daniil Medvedev. Troppo alto il rischio di vedere un russo vincitore il 10 luglio. E lo smacco di vederlo sfilare tra i raccattapalle schierati e premiato da un membro della Famiglia Reale come vuole la tradizione che a Wimbledon è legge nei secoli dei secoli sarebbe stato insopportabile oltrechè (soprattutto) una sconfitta politica. Allora qui lo sport si ferma, vale la ragion di Stato e decidono i governi. Decide Boris Johnson che sulla guerra in Ucraina si sta giocando carriera e futuro. Perchè , dopo la Brexit, ha il terrore di una Russia trionfante in Ucraina e di una Cina imperante e perchè dopo lo scandalo “partygate” in patria e le feste proibite durante il lockdown anti Covid,  ha  bisogno di rifarsi una reputazione. E la guerra è una ghiotta occasione. Il resto sono solo chiacchiere: inutile indignarsi.