Eroi di un’altra Eroica, quella di primavera. Eroi alla ricerca di una normalità che si va cercando ormai da un paio d’anni e che l’ultimo week end di maggio si spera ricominci a regalare sorrisi e felicità. Torna Eroica di Montalcino. “Torna il festival con i suoi balli e le musiche in piazza, tornano gli spettacoli e i giochi per i bambini, tornano la Cena Eroica nei quartieri e i ristori di sempre, ad iniziare dalla ribollita- annuncia Franco Rossi, presidente di Eroica Italia e responsabile dell’organizzazione- Lanciamo un segnale di normalità anche se da un’emergenza si passa ad un’altra. Ora c’è la guerra in Ucraina a preoccupare le persone…”. Domenica 29 maggio al via ci saranno duemila ciclisti, “eroi” ca va sans dire, pechè chi corre l’Eroica un po’ eroe lo è sempre  anche se sa perfettamente che gli eroi sono altri. O forse no. Perchè per correre in bici tanti anni fa un po’ eroi bisognava esserlo. Le bici erano quelle che erano. E le strade anche. Niente carbonio,  niente elettronica, niente integratori, niente di niente. Come diceva Alfredo Binda, e non a caso la sua frase è diventata storia, per correre allora ci volevano i <garun…> e non serve tradurre per capire che bisognava esser tosti. Forse la fatica era di più. Certo che le facce erano antiche già da giovani . Non c’era tempo per look,  orecchini, tatuaggi, per i body intonati con le bici. Le scarpette non avevano le suole hi-tech e gli attacchi erano le cinghiette dei puntapiedi. Stop.  Un altro mondo. Un mondo dove la bici era poesia pura, romanzo, oggetto del desiderio e oggetto di un racconto infinito uscito dalle penne di grandi scrittori. Non solo un mezzo meccanico, ma il mezzo per raccontare una grande storia di attese e di speranze e per vivere un riscatto che, dopo le Guerre,  i nostri nonni e bisnonni si sono conquistati con il cuore e con le unghie. C’era una volta il ciclismo dei pionieri che ha fatto pedalare un Paese che aveva voglia di ricominciare e c’è oggi un ciclismo che a quell’epopea si ispira e vuole rivivere. Ovvio, per gioco. Con lo spirito lieve che serve in questi casi. Ed è un altro ciclismo. Più rilassato  di quello delle granfondo dove ci si depila, si cerca il tempo e  si va sempre a tutta. Più godereccio rispetto alla frenesie dei ristori in corsa con sali e barrette presi al volo per non perdere un secondo. Qui ci si ferma,  si chiacchiera e si mangia davvero: torte fatte in casa, salumi,  minestra di pane,  zuppa di ceci e zabaione col vin santo. Facile fermarsi, difficile ripartire. Ma poi si fa perchè non c’è fretta, non c’è agone. Si riparte e ci si riferma perchè da queste parti c’è tanto anche da vedere e c’è sempre il tempo di una foto o di un “selfie” come si usa da quando i telefonini sono entrati nelle nostre vite. E’ il ciclismo che torna eroico. E’ il ciclismo di una gara-non gara che questo mondo ha avuto l’idea di riscoprire e riproporre. Più o meno 150 chilometri per chi ha più coraggio, per chi se la sente: Montalcino, Buonconvento, San Quirico d’Orcia, Pienza  Ripa d’Orcia, Selvoli, Traversa dei Monti, Pieve a Salti,  Castiglion del Bosco tra strada bianca e asfalto. Un viaggio a pedali si cinque percorsi. Quello Eroico,  il più lungo e il più duro,  153 chilometri e quasi 3mila metri di dislivello con  ben undici  tratti di strada bianca da affrontare e con la salita di Castiglion del Bosco da scalare.  Il  percorso medio Val d’Orcia di 96 chilometri, quello delle Crete Senesi da 70 chilometri, quello del Brunello da 46 chilometri e infine la Passeggiata, 27 chilometri con un solo tratto di strada bianca. “E’ vero, dopo due anni di  limitazioni riproponiamo gli aspetti alla base del successo crescente dell’evento – spiega Rossi – Dobbiamo continuare ad avere comportamenti prudenti ma possiamo tornare ad accogliere con il sorriso i ciclisti e le loro famiglie in arrivo a Montalcino”. Un happening del ciclismo che fu, quello della polvere, delle facce antiche e delle mani grosse sospeso tra passato e futuro. Un rito che ogni anno si rinnova dove c’è chi finalmente arriva, chi torna, chi si dispera per non esserci e dove chi non c’è più c’è lo stesso nel ricordo di una famiglia che non dimentica.