C’erano una volta gli oratori e (per fortuna) ci sono ancora. Poche settimane fa la Giunta regionale ha approvato un Protocollo di collaborazione con la Regione Ecclesiastica che permetterà, anche per quest’anno, la realizzazione di 150 progetti dedicati ai giovani e ai giovanissimi. È previsto un contributo di 600.000 euro mentre la Regione Ecclesiastica cofinanzierà l’iniziativa con 300.000 euro. Protagoniste saranno le parrocchie che coinvolgeranno i ragazzi in attività di istruzione, integrazione, formazione e sport che, tradotto, significa che faranno ciò che si è sempre fatto quando la socialità non passava da connessioni e  telefonini. «Siamo molto soddisfatti – commenta l’assessore allo Sviluppo Città Metropolitana, Giovani e Comunicazione, Stefano Bolognini – di questa collaborazione che permetterà la realizzazione di tanti progetti all’interno degli oratori che restano luoghi straordinari di educazione, crescita e incontro e che, dopo la pandemia, assumono un valore ancora più importante». Spazi «antichi», presidi di un modo di crescere e di frequentarsi che obbligatoriamente prevede la «presenza» nonostante negli ultimi anni ci si sia quasi rassegnati ad uno stare insieme spesso virtuale. Gli oratori sono una meravigliosa macchina del tempo. Tanti anni fa non è che si potesse troppo scegliere. La festa trascorreva tra la partita di calcio la domenica mattina e un pomeriggio a scelta tra il cinema di seconda visione oppure l’oratorio. Questo passava il convento e soprattutto permetteva la «mancetta» che obbligava a far di conto perchè, se si esagerava, poi toccava tirar la cinghia per tutta la settimana. Il pomeriggio volava via tra il ping-pong, il calciobalilla, una cioccolata calda o una «spuma» e il rientro verso casa in bici prima che facesse buio giusto in tempo per vedere i gol del campionato a Novantesimo Minuto. Belli però gli oratori. Belli perchè allora, e per fortuna anche oggi, erano un luogo che dava una possibilità a tutti. Non servivano iscrizioni, tessere, certificati…Si andava, si entrava e si giocava: alti, bassi, grassi, magri, belli brutti, maschi, femmine. Di solito a calcio ma spesso anche a basket, a pallavolo, a palla prigioniera a ciò che capitava. Essere capaci non era un requisito richiesto. Tutti in campo facendo le squadre a pari e dispari e dividendosi in modo equo fenomeni e «pippe» con il Don ad arbitrare. Il bello degli oratori, che in Italia sono 8.245 e sono frequentati dall’80% dei ragazzi fra gli 8 e gli 11 anni di cui uno su due straniero è, come ha spiegato l’arcivescovo di Milano monsignor Mario Delpini qualche tempo fa «che sono ancora un luogo profetico dove la fede non è un fatto privato». La platea è vasta: solo in Lombardia tra preadolescenti e adolescenti vengono frequentati da 470.000 ragazzi circa. Belli gli oratori perchè non sono «club» dove entrano solo i soci ma un avamposto che permette ancora ai ragazzi di parlarsi, guardarsi negli occhi, di ridere, scherzare, suonare, cantare e litigare. Ripete spesso Papa Francesco che «nell’educazione abita il seme della speranza e gli oratori, al di là delle convinzioni religiose di ognuno, restano un luogo di educazione e di confronto dei processi educativi. Vale per tutto. Per la fede, la crescita, lo sport. Sì, anche per lo sport. Fare sport in un oratorio non è come fare sport in una delle tante società sportive che, con altre prospettive, svolgono quotidianamente un grandioso lavoro di reclutamento e di formazione dei ragazzi. Nè meglio, nè peggio ma diverso. Fare sport in oratorio è un’altra opzione, è una sfida che punta a non lasciare nessuno indietro, è un campionato a sè dove giocano tutti, dove si vince, si perde e si vince anche se si perde. Pierpaolo Triani, docente di Pedagogia generale dell’Università Cattolica qualche tempo fa spiegava che «L’educazione è un fenomeno collaborativo e per affrontare le sfide educative attuali c’è bisogno di oratori vitali, capaci di elaborare nuove proposte…». Che ovviamente si spera continuino ad arrivare. Perchè c’erano una volta gli oratori ma c’è tanto bisogno che ci siano ancora.