Rissa e  lesioni personali gravissime. I carabinieri della Compagnia di Seregno hanno fatto ciò che andava fatto denunciando all’autorità giudiziaria il 47enne che domenica, sugli spalti dell’oratorio Sant’Ambrogio di Seregno, davanti a famiglie e bambini che stavano giocando una partita di calcio, ha colpito con un calcio alla schiena facendogli perdere un rene, un dirigente della Polisportiva che cercava di sedare una rissa tra alcuni papà. Una denuncia è una denuncia ma purtroppo non servirà a dare un senso a una storia assurda che racconta come oggi possa facilmente esplodere il tifo, diventare rabbia, metodo spiccio per passare alle mani, per imporsi e come forse sia solo il pretesto o la scintilla per dar sfogo a una violenza figlia della degenerazione dei rapporti tra le persone. Non c’è vergogna e non c’è morale. Non conta quasi più nulla, neppure il fatto di diventare attori patetici di una recita a cui assistono famiglie, mogli, bambini, sicuramente figli. Domenica è accaduto ciò che purtroppo su molti campi da gioco è diventata normalità: si contesta un gol, un rigore, un fischio dell’arbitro o la scelta di una allenatore ed è sempre l’inizio di una reazione a catena che finisce con botte e feriti. A farne le spese questa volta è stato l’allenatore 44enne in seconda delle giovanili dell’oratorio Sant’Ambrogio di Seregno che, visto cosa stava succedendo alle sue spalle tra i genitori, è intervenuto per placare gli animi che non si sono per niente placati. Anzi. É stato raggiunto da un calcio alla schiena che, dopo qualche ora, lo ha portato dritto in sala operatoria dove i medici gli hanno dovuto asportare un rene per le lesioni subite. Si fa fatica a trovare un senso a ciò che è successo domenica a Seregno, su un campetto dell’oratorio. in una partita di calcio tra bimbi di nove anni. Così come si fa fatica sempre giustificare improperi, minacce o il classico «spaccagli le gambe…» che è un evergreen della maleducazione sportiva ( ma non solo sportiva) urlato da chi l’educazione dovrebbe insegnarla, cioè i genitori. La cronaca racconta un episodio gravissimo in sè ma forse ancor più grave in prospettiva perchè lascerà purtroppo un segno indelebile nelle menti dei bambini che erano in campo e che, a quell’età nel bene e nel male, sono fantastiche carte assorbenti. Ma ormai va così. Con un provocazione, ma neppure tanto, si potrebbe proporre di vietare i genitori al seguito dei figli quando fanno sport. Via mamme e papà dagli spogliatoi, via dai campetti di calcio, via dalle tribune, dai bordi delle piscine, dalle piste d’atletica. Lontani e assenti per il bene de pargoli che così imparano a far da sè e imparano a crescere. Lascino i ragazzi con i loro allenatori, lascino che vengano sgridati, puniti, premiati o messi in panchina senza che ci siano mamma e papà a confortarli, a consolarli, a rassicurarli spiegando loro che comunque sono i migliori, che il mister non capisce nulla e che chi ha giocato, corso o tirato a canestro al loro posto non li vale, è uno «sfigato». C’erano una volta i genitori che per i figli erano un esempio. Funziona ancora così ma spesso bisogno aggiungere un «purtroppo».