Il doping nello sport è una ignobile scorciatoia. Un “cancro” che  devasta valori,  fiducia,  rapporti,  regole.  E’ un male profondo, subdolo, una metastasi  veloce che da sempre racconta di una lotta impari con chi prova ad opporsi e a combatterlo. Il doping c’è e c’è sempre stato, praticamente in ogni disciplina, e ammetterlo è già un bel punto di partenza.  Il doping  ha diviso lo sport in “sporco” e “pulito”, due aggettivi chiari che danno all’istante l’idea di quale sia la parte giusta dove stare, gareggiare, partecipare.  Il doping è sconfitta anche quando è vittoria. E’ frutto di studi e di menti sopraffine al servizio sbagliato perchè la storia non sempre è magistra vitae. E’ ricerca, una ricerca avanzata, ma “deviata”. E’ spesso ancora  fai-da-te ed è quello più drammatico. Il doping è ciò che lo sport non insegna e cioè il disvalore dell’imbroglio, della truffa,  della slealtà, la degenerazione del machiavellico fine che giustifica ogni mezzo. Il doping è da farabutti perchè spesso passa da chi sa a chi ingenuamente non sa e magari si fida. E’ business perchè nel mondo degli sport professionistici chi arriva davanti spesso guadagna non solo fama ma un sacco di denari. E’ successo, per lo stesso identico motivo. Il doping fa sempre a differenza, purtroppo. E la fa anche nel tempo, perchè i muscoli hanno memoria e non lo dimenticano. Il doping non ammette scuse. Non ammette ignoranza. Non ammette perdono: chi si dopa è fuori dai giochi, dovrebbe essere questa la regola, la sanzione che forse avrebbe la forza di tenere tanti ( non tutti) lontano dalle tentazioni. Il doping non si sconfigge, si può solo provare a combatterlo, ma resta sottopelle. Diventa atteggiamento e abitudine. Il doping è’ cultura, si fa per dire. E’ dipendenza e non solo nello sport perchè poi sembra indispensabile anche per affrontare ogni sfida della vita: da un esame all’università a una notte d’amore con una donna. Il doping è dannoso perchè alla lunga, ma probabilmente anche a breve, lascia segni dentro, sul corpo, sul cuore, nell’anima. Il doping è molte altre cose ancora, nessuna buona, nessuna bella, nessuna che abbia la dignità di essere condivisa. Per questo fa rivoltare lo stomaco l’idea che Aron D’Souza,  avvocato e ricco imprenditore australiano di Melbourne, abbia nei giorni scorsi annunciato in un’ intervista a un giornalista del  Guardian che nel dicembre 2024, qualche mese dopo le Olimpiadi a Parigi, organizzerà per la prima volta gli “Enanched Games”, i Giochi  “dopati e migliorati” con tutti gli atleti disposti a gareggiare senza controlli e liberi di far uso di sostanze farmaceutiche e chimiche per incrementare le prestazioni. Cinque discipline: atletica, nuoto, pesi, ginnastica e sport da combattimento. Cinque discipline per spiegare, usando le parole di D’Souza che  “il modello delle Olimpiadi si è rotto che gli atleti sono adulti e hanno il diritto di fare con il proprio corpo ciò che desiderano…”. Pare uno scherzo e purtroppo non lo è. Ma, al di là, dell’indignazione del momento sarebbe utile che qualcuno ricordasse all’imprenditore australiano che il doping, oltre a tutte le schifezze di cui si è detto sopra, è anche reato. Giusto per capirsi…