Ci si può provare in tutti i modi a fare a pezzi il ciclismo, a smontarlo, a “sputtanarlo”, a distruggerne il fascino con dubbi e sospetti.  Ma non c’è modo. Il ciclismo si difende, si rigenera,  prende i geni della sua storia e all’improvviso li trasforma in parole, nelle parole semplici di Matej Mohoric che oggi, dopo aver vinto la 19ma tappa del Tour battendo di un volata i compagni di fuga Kasper Asgreen  e Ben O’ Connor, spiega al mondo qual è la differenza con gli altri mondi, qual è il senso  di uno sport che, al di là di qualche “sgarro”, ha un’anima leale ed immortale: “Il ciclismo è crudele e mi sento come se li avessi traditi…Ho vinto ma non ero il più forte e quando Kasper  è partito avevo le gambe che bruciavano, ho stretto i denti e sono riuscito ad andargli dietro. Ho dato dato tutto e ho vinto all’ultimo centimetro ma mi sento di avergli fatto un torto. Anche Ben  ha tirato fino all’ultimo, pur sapendo di non avere chance di vincere allo sprint. Mi sento triste anche per lui..”. Quasi sempre le interviste di fine gara aggiungono poco o nulla  alla gioia di una vittoria o alla rabbia di una sconfitta. A caldo, con l’adrenalina ancora in circolo, in genere si fa fatica a dire qualcosa di importante. ma di questa bisognerebbe farne un “podcast” da sentire e risentire, da far girare sui social al posto di tanta inutile “monnezza” per spiegare che si può gareggiare, si può “combattere”, si può vincere o perdere ma ci si può anche rispettare, si possono rispettare gli avversari e il lavoro degli altri. “Avete visto le nostre facce sul Col de Loze?  Due giorni fa eravamo tutti completamente distrutti, vuoti. Ognuno di noi 150 dovrebbe vincere un tappa al Tour… Il ciclismo è duro,  soffri molto nella preparazione, sacrifichi la tua vita e la tua famiglia per essere pronto. Poi vedi quelli dello staff che si svegliano alle sei mattina e finiscono di lavorare a mezzanotte perché ogni giorno ci sono mille cose da fare, come cambiare le ruote e il materiale o i massaggi e fanno sacrifici enormi anche loro e pensi di non essere all’altezza. Anche per questo ogni giorno corro per non avere rimpianti quando torno al bus da loro…”.  Chi si chiede cosa spinga un appassionato di ciclismo ad emozionarsi al solo passaggio del gruppo,  a non tifare contro, a “perdere”  una giornata ad aspettare i corridori che poi sfilano via in un amen e a fatica si riconoscono, oggi trova le risposte che cercava. Le trova negli occhi lucidi di un ragazzo sloveno che poche settimane fa ha visto volar via in una discesa al Giro di Svizzera un suo compagno di squadra, che non dimenticherà mai più, che rivedrà in ogni scatto, in ogni fuga, su ogni traguardo: “Scusate le lacrime ma ci ho pensato tutto il giorno, questa vittoria rappresenta tantissimo per la squadra e per me, dopo tutto quello che abbiamo passato nelle ultime settimane per Gino. Questa vittoria non è per me è per lui e per per tutti quelli che ci credono ancora…”.  C’è poco da aggiungere, il ciclismo è tutto qui. E arriva dritto al cuore.