Nel Tour dei  sogni oggi ha vinto Thibaud Pinot. Per quasi un’ora la Francia intera, ma non solo la Francia intera, ha sognato che potesse farcela, che la Belfort-Le Markstein , la sua ultima tappa di montagna, la sua ultima salita alla Grande Boucle potesse essere il lieto fine di una formidabile storia di ciclismo. E’ andata come vanno spesso le gare di Pinot: non ce l’ha fatta ma un po’ tutti hanno sognato che gli lasciassero via libera, che Pidckoc mollasse,  che la stessa cosa, dopo essersi guardati in faccia la decidessero, Gall, Pogacar, Vingeegard e compagnia inseguente ovviamente non con un gesto plateale ma con un tacito accordo tra corridori riconoscenti, di cuore e d’intelletto. Nel ciclismo dei sogni Thibaud Pinot, che chissà perchè viene voglia di scriverlo tutto attaccato, è il campione che vorresti: imperfetto, imprevedibile, fragile e generoso. Un anti-eroe che conquista il cuore,  talentuoso navigante non adatto ai mari piatti,  grandi giornate e pessime giornate, alti e bassi, grandi imprese e grandi schiaffi. Uno che attacca quando non si può, quando non si deve, quando non c’è logica, che non si arrende, che si sfinisce nella più impossibile delle imprese, che crolla, che si ferma in discesa perchè ha paura. Che riparte, che rischia di vincere un Tour, che vince tappe nei giri che contano, che vince un Lombardia, che infiamma i francesi, che li delude, che torna ad infiammarli e che comunque li fa innamorare. Ci sono campioni e campioni e questo francese romantico in questo suo “scombiccherato” pedalare mette insieme tutto.  Quella di oggi era la sua ultima volta su una montagna del Tour de France  perchè a 33 anni così vuole e così ha deciso. “Non ho mai voluto la vita del campione, non mi è mai piaciuta l’idea di diventare famoso- ha raccontato qualche tempo fa all’Equipe annunciando il ritiro-. Il Tour è una gara che volevo vincere e se non l’ho vinta è un segno del destino, perchè forse non avrei potuto sopportare il peso di aver vinto un Tour de France. E’ così. Non sono troppo religioso, ma credo nei segni della vita. Ho fatto questa carriera e forse mi permetterà di essere felice per il futuro…”.  E il futuro comincerà dopo il Lombardia, dopo  13 stagioni tutte con la Groupama, un’altra “fuga” per dedicarsi a una vita ritirata nella sua Melisey, poco più di 1.700 anime nella Franca Contea non lontana dal confine con la Svizzera e con la Germania, dai Vosgi, ai limiti dell’altopiano dei Mille stagni. “Il ciclismo si è preso un terzo della mia vita e ora voglio dedicarmi alla mia seconda passione, animali e natura. Ho sempre voluto creare qualcosa da ciò che offre la natura, produrre miele, coltivare frutta e verdura e vedere ciò che ci offrono gli animali. Per me il ciclismo è stato una scuola di vita, mi ha insegnato a mantenerla semplice a mettermi in discussione ogni giorno. È uno sport che ti rimanda sempre a quello che sei. Ti insegna il rigore, la sofferenza.  Siamo completamente pazzi, è senza dubbio la prima condizione per essere un ciclista. Lo capisci quando a volte esci ad allenarti con -10 gradi, cn la pioggia, con la neve…Non ci facciamo domande. E nella vita di tutti i giorni sarà lo stesso, quando devi uscire, beh, vai. E io sono pronto”. Chapeau!

 

 

“. Il resto