Manca già il Tour. Mancheranno la telecronache puntuali di Andrea De Luca e di Stefano Garzelli.  Mancherà il dopo corsa di Francesco Pancani. Mancheranno le voci che in queste tre settimane hanno fatto da sottofondo ai caldissimi pomeriggi di luglio, a un’estate che nelle ore più calde si concilia bene con il lento andare del gruppo. E un po’ ti culla, ti accarezza in attesa che la corsa si infiammi. Ti godi tutto. I paesaggi francesi, le campagne, le case, la gente sulle strade che aspetta, applaude, dà un senso alla sua giornata. Ti godi la corsa, le tappe piatte e inutili, gli sprint, le salite. Anche le polemiche. Cosi finito il Tour, dopo la seconda vittoria di Jonas Vingegaard, dopo la sfida infinita con Tadei Pogacar, dopo la maglia a pois che Giulio Ciccone ha riportato in Italia 31 anni dopo Claudio Chiappucci,  domani si proverà a scanalare cercando una kermesse o anche una replica ma si faranno i conti con qualche film western di una quarantina di anni fa, con un fiction sulle suore o con qualche partita di badminton. Va così ogni anno, va sempre così. Restano il vuoto e i pomeriggi da riempire.  Il Tour è un rito pomeridiano. Come il te per gli inglesi. Due ore che danno un senso a una giornata che, scandiscono  il tempo che passa. Che fissano una stagione che comincia con il Giro e si chiude sui campi Elisi. L’ultimo sprint spazza via tutto. Porta via  anche un po’ d’estate. Per molti l’estate comincia adesso. Per chi viaggia in gruppo è già finita…E allora nel silenzio di pomeriggi da riempire tornerà alla mente la crono pazzesca di Vingegaard, la cotta diPogačar sul Col de la Loze che ha messo la parola fine alla lotta per la maglia gialla, l’esultanza di Ciccone sulla salita che gli ha regalato il primato, la caduta di Mark Cavendish che lo ha tenuto al fianco di Merckx, lo sprint dei fratelli Yates, quelli vincenti di Philipsen, l’ultima grande salita di Thibaud Pinot, le lacrime di Matej Moric. Torneranno alla mente le grandi “menate”  di Victor Campenaerts e quelle di Wout Van Aert, campione assoluto, che da generoso gregario pare un  insulto alla logica di questo sport. Già Van Aert. Un anno fa alla fine del Tour, dopo il dominio della sua squadra qualcuno  cominciò a mettere in dubbio la pulizia di queste prestazioni, facendo accostamenti con il passato e i tanti casi di doping che hanno stravolto le corse prima dell’avvento del passaporto biologico. Il ciclismo nel fare harakiri non ha rivali. il belga in conferenza stampa non la prese benissimo: “Che domanda stupida, non ho nemmeno voglia di rispondere- disse-  ogni volta che qualcuno vince, la domanda ritorna. Perché vinciamo dobbiamo difenderci? Non ho capito, abbiamo lavorato duramente per questo. Il ciclismo è cambiato. Siamo seguiti per un anno intero, fino a casa nostra, e per il resto non facciamo altro che allenarci…”. Era l’anno scorso e sembra quest’anno. Sarà così anche per l’anno che verrà: speriamo che passi in fretta…