Edmondo De Amicis così, in modo perfetto, descrive Franti, il bullo nel libro Cuore: “Uno solo poteva ridere mentre Derossi diceva dei funerali del Re, e Franti rise. Io detesto costui. È malvagio,  quando uno piange, egli ride, trema davanti a Garrone, e picchia il muratorino perché è piccolo; tormenta Crossi perché ha il braccio morto; schernisce Precossi, che tutti rispettano; burla perfino Robetti, quello della seconda, che cammina con le stampelle per aver salvato un bambino. Provoca tutti i più deboli di lui, e quando fa a pugni, s’inferocisce e tira a far male. Non teme nulla ride in faccia al maestro, ruba quando può, è sempre in lite con qualcheduno”. I bulli ci sono sempre stati, ci sono e ci saranno. Si scrive e si discute sulle cause e sull’origine che sono quasi sempre plurime e riconducibili a fattori individuali o dinamiche di gruppo: al temperamento del bambino, ai modelli familiari, agli stereotipi imposti dai mass media, all’educazione impartita. Una delle ultime teorie è quella che sostiene che, spesso, a generrare i figli bulli sia l’agonismo, nello specifico il troppo agonismo dei genitori. Il dibattito è aperto anche se per alcuni psicologi la relazione è diretta.  Grandi aspettative, richiesta di successi sportivi e scolastici,  l’agonismo di mamme e papà crea inadeguatezza e quindi aggressività. Si fa presto a puntare il dito. Così se il bullismo nelle famiglie patriarcali era l’esito di un’educazione autoritaria e punitiva oggi è il frutto della troppa pressione ma anche del fatto che siamo iperprotettivi, troppo amorevoli e troppo accudenti. Come si fa si sbaglia quindi…  Può essere ma l’agonismo che c’entra?  C’è un sano agonismo che serve,  se non si esagera. Che aiuta a crescere perchè non sempre si vince e le sconfitte aiutano. Perchè insegna che ci si deve battere se si vuole conquistare qualcosa, lealmente ma ci si deve battere perchè nessuno regala nulla. Serve perchè è il sale di una gara, di uno sport, di una sfida che altrimenti non avrebbe senso perchè partecipare è divertente ma gareggiare ha tutto un altro sapore.  Perchè a 15, 16 ma anche a trent’anni  il gusto di una  sfida è tutto lì, poi ci si dà una calmata ma non sempre e non è detto che sia meglio o peggio perchè è l’agonismo che aiuta a restare vivi. L’agonismo è passione, la stessa che serve per innamorarsi di uno sport e per continuare ad amarlo, perchè se non c’è una gara, una sfida non è semplice continuare ad allenarsi, far sacrifici, magari anche rinunciare a tante cose che gli altri fanno. E in genere sono quelle più divertenti. Però  ora si scopre che troppo agonismo fa crescere i figlioli fragili, insicuri e privi degli anticorpi contro le inevitabili frustrazioni della vita… Può essere. Però ho visto ragazzini nuotare, pedalare, correre  fino a sfinirsi per mettere dietro un avversario o un compagno di squadra, li ho visti disperarsi al traguardo per un podio sfumato,  per una gara sbagliata. Poi passa. Poi ridono, scherzano e si abbracciano…I bulli sono un’altra cosa.