Sintonizzi la tv su su Raisport in una nebbiosa mattina di fine ottobre e lasci scorrere, senza farci troppo caso, la replica della maratona di Venezia.  Venezia è Venezia e la sua maratona è una delle più affascinanti che si possano correre. Ma è la telecronaca di Franco Bragagna che cattura l’attenzione, il suo affascinante affabulare su uno sport che ama e conosce, che sa raccontare al di là di una cronaca che spesso non c’è,  la sua capacità di portare chi ascolta sulle strade, ai ristori, al comando di una sfida di cui conosce i segreti, le sfumature. Non solo tempi, vittorie, nomi e cognomi spesso impronunciabili e quasi tutti uguali dei campioni africani che vincono e passano. La maratona sono tante altre cose insieme: sono storie, facce, riscatti, sconfitte, luoghi, aneddoti, ricordi, progetti, dubbi, passione, fatica di un mondo che misura 42 chilometri e che non tutti sono capaci di cogliere e svelare.   E allora la lunga telecronaca che sembra scandire cpn garbo il tempo dei passi affaticati degli atleti che sfilano su traguardo di Riva Sette Martiri, diventa quasi una chiacchierata tra amici, la cronaca di una maratona dove quasi mai c’è l’adrenalina dello sprint, di un testa a testa, del passaggio di un testimone.Diventa il racconto di uno sport che si perde nel tempo, che è storia e fatica, popolo e campioni, record e tapasciate, dalla prima “lombarda” di Busto alla sfida delle sfide che tra poche settimane porterà il cuore di tutti gli appassionati sulle strade di New York.  C’è un valore aggiunto che una telecronaca può dare ad un evento sportivo. Anni fa, una rete inglese , aveva dato la possibilità ai telespettatori di godersi le partite della premier  senza il commento del telecronista. Arrivavano solo gli effetti dello stadio, le urla dei giocatori in campo, dei tecnici in panchina e i fischi dell’arbitro. Proposta di un certo fascino, ma non fu un successo. Perchè una buona telecronaca,  checchè se ne dica,  può aggiungere  molto ad una gara sportiva. Ognuno, a seconda dell’età, ha i suoi telecronisti. Nando Martellini, Enrico Ameri, Sandro Ciotti, Franco Rosi. E poi Bruno Pizzul, Adriano De Zan, Bruno Gentili e via così con grandi voci anche oggi che forse si notano ancor di più in una normalità fatta di aggettivi troppo roboanti e  toni troppo spesso fuori registro.  Bragagna è della “vecchia scuola” Rai. Ha cominciato a raccontare lo sport in in radio  nel  1975 con una radiocronaca fatta con un telefono a gettoni dal Palaghiaccio di Ortisei dove si giocava la partita di hockey tra Gardena e Bolzano e poi è arrivato in tv.  Hockey, sci di fondo e poi l’atletica, il suo modo unico di raccontare lo sport, la sua competenze mai esibita, le interviste, i campioni che si conoscono, diventano amici, che a volte tradiscono  e il suo “timbro” sono diventati un “marchio di fabbrica”. Le sue telecronache “tasselli” a cui restano per sempre appese alcune grandi imprese azzurre. La magica vittoria olimpica di Stefano Baldini ad Atene, un’ impresa enorme che venne suggellata da quel “Bravo, bravo, bravo!!! …”  oppure quel “Marcello!!”  gridato a Jacobs che portò l’Italia che mai era riuscita ad arrivare nella sua storia in una finale dei 100, sul gradino più alto del podio olimpico a Tokyo due anni fa  per poi abbracciare Gianmarco Tamberi che poco prima aveva vinto l’oro nel salto in alto. Momenti indimenticabili che molti telecronisti hanno la fortuna di poter raccontare legando la loro voce per sempre ad un momento di gloria. Ma non è solo fortuna…