Jasmin Paris ha completato la Barkley marathons  con un minuto e 39 secondi di anticipo rispetto al limite di 60 ore. Un minuto e trentanove secondi sono poco meno che nulla e nelle 100 miglia della Barkley meno di un respiro. Ma sulle Appalachian Mountains del Frozen Head State Park di Wartburg, una piccola cittadina del Tennesse, sono tutto, segnano la differenza tra  vittoria e sconfitta,  gioia e disperazione, estasi e sogno. E in questo sono la storia. Sì perchè la quarantenne veterinaria, madre di due figlie di Hadfield nel Derbyshire in Scozia è la prima donna ad arrivare al traguardo di questa ultramaratona impossibile, diventata famosa come la corsa dove non vince quasi mai nessuno tant’è, che in più di trent’anni, al traguardo sono arrivati una ventina di atleti. Donne mai. In precedenza il miglior risultato femminile era stato di Sue Johnston che, tre anni fa, era riuscita a percorrere sessantasei miglia, un centinaio di chilometri…  Ma ora non conta più perchè nella leggenda entra questa tenace donna scozzese dall’aspetto minuto che alle 17:16 di venerdì 22 marzo ha iscritto per sempre il suo nome nella storia di questa folle ultramaratona a cui partecipava per la terza volta.   La Barkley Marathons è la gara più dura che ci sia sul pianeta. Cento miglia di fatica, ma c’è chi dice che siano anche 130, in una natura che dire ostile è dir poco, tra montagne, rocce, rovi e crepacci con un dislivello di 120mila piedi tanto quanto scalare due volte l’Everest.  La prova prevede cinque giri da completare in un massimo di 60 ore con l’obbligo di finire ciascun giro in non più di 12 ore per evitare l’eliminazione. C’è poi anche un “fun run”, una corsetta tanto per divertirsi, che sono tre giri dello stesso percorso e che per gli organizzatori contano meno che nulla.  C’è la fila per correrla. Per avere un pettorale bisogna superare i test che il suo organizzatore Gary Cantrell,  più noto come Lazarus Lake o anche solo “Laz”, cambia quasi ogni anno: spiegare, ad esempio, come si individuano i positroni in eccesso nel flusso dei raggi cosmici oppure quanto burro si deve usare per cucinare una libbra di fegato con le cipolle. E non basta. I nuovi, «vergini» li chiamano qui, devono presentarsi con la targa di un auto del loro Paese; i «veterani», quelli che si sono ritirati ma ci riprovano, devono aver con sè la camicia in flanella usata nella passata edizione e gli «ex allievi», i pochi che l’hanno finita, devono arrivare al via con in mano un pacchetto di sigarette Camel.  Non c’è un sito dove iscriversi, bisogna scovare l’indirizzo di  Laz e spedirgli per tempo una lettera accompagnata da un dollaro e 60 centesimi. Poi si incrociano le dita e si aspetta una risposta che se va a buon fine arriva sepmre col solito messaggio: “Siamo spiacenti di comunicarti che la tua richiesta di iscrizione è stata accettata…”. Leggenda narra che l’idea di questa maratona per masochisti a Cantrell sia venuta ispirandosi alla storia di James Earl Ray, l’assassino di Martin Luther King, che evase dal carcere di massima sicurezza del Tennessee e in 55 ore di corsa a nei boschi percorse sole 13 miglia, prima di essere catturato. Niente per Laz che si fece due conti e sentenziò che almeno avrebbe dovuto correrne 100 di miglia. Così organizzò la Barkley. A raccontarla così  pare quasi che a correrla si presenti un’armata Brancaleone, pittoresca e raffazzonata. In realtà al via ci sono solo atleti fortissimi, motivati, allenati e capaci soffrire fatiche e pene d’inferno. E Jasmin Paris è una di loro.  Ben conosciuta come sky runner dopo la sua vittoria otto anni fa alla Skyrunner World Series, ha poi conquistato la medaglia di bronzo ai mondiali di Skyrunning sempre nello stesso anno e, tre anni dopo, si è imposta in correndo in 83 ore i 460 chilometri della Spine Race, il trail più “brutale” della gran Bretagna, vinto facendo anche un paio di paus per allattare sua figlia.  Due anni fa è arrivata prima nell’Ultra Trail del monte Rosa in Svizzera e nel Trail del Battaglione in Italia, entrambe gare da 100 chilometri. Ma a Barkley è la Barkley, unica e irripetibile che alle difficoltà di tempo e chilometri aggiunge le diaboliche difficoltà partorite dalla mente di Laz.  Nessuno conosce il percorso, nessuno sa dove deve andare e non sono ammessi navigatori, gps o altre «diavolerie» elettroniche. Cinque giri di tracciato che gli atleti  devono trovare seguendo le mappe di carta e il loro senso dell’orientamento fino a raggiungere 5 punti di controllo in cui Cantrell ha nascosto dei libri da cui vanno strappate le 5 pagine col numero del proprio pettorale. Non è previsto il ritiro. Alla Barkley non ci si ritira, ci si «arrende»  ed è meglio farlo in prossimità di una strada dove si può chiedere aiuto perché non sono previsti soccorsi. Ti lasciano lì. Ma non si sa neppure quando si parte. Chi deve partecipare arriva nella zona della partenza, pianta la sua tenda, si mette il cuore in pace e aspetta. Aspetta che Laz si tolga dal capo il suo cappello da cow boy, si accenda con tutta la calma del caso il suo sigaro Avana e soffi in una conchiglia per dare il via. Quello è il segnale, poi ognuno va incontro al suo destino. Un destino che ci si gioca in sessanta ore fino all’ultimo secondo. Non uno di più. Qualche anno a vincere fu  John Kelley. uno dei più forti skyrunner statunitensi ma l’edizione passò alla storia per la clamorosa esclusione del secondo arrivato, Gary Robbins, finito solo sei secondi oltre il limite. Nessuna pietà per la sua fatica. Era arrivato stremato, ferito per una caduta in un crepaccio e  aveva passato nelle mani di Gary Cantrell i cinque figli dei libri che aveva strappato ma lui non aveva battuto ciglio. Dopo aver da un’occhiata all’orologio, si era calato sulla testa il suo cappello da cow boy e aveva girato i tacchi: «Mi spiace, non l’hai finita…»