“Ringrazio le donne che hanno osato, per impeto, per ragione per amore, come Cristina, Rosalie dei Mille, Grazia, Tina, Nilde, Oriana, Samantha, Chiara, come Alfonsina che pedalò forte contro il vento del pregiudizio. Grazie per aver dimostrato il valore delle donne italiane come spero di fare io…”. Già, Alfonsina. Giorgia Meloni, nel suo primo discorso da presidente del Consiglio alla Camera, due anni fa ad ottobre, andò a scovare nei ricordi e nella storia Alfonsina Strada.

Alfonsina Morini da Riolo di Castelfranco Emilia che sposerà poi Luigi Strada, nata il 16 marzo 1891 e detta «il diavolo in gonnella» fu la prima donna ciclista in Italia a correre alla pari con i corridori maschi, per una specie di «buco» nel regolamento di allora, che non specificava, non ci si pensava proprio, il sesso dei concorrenti. Vinse 36 competizioni e corse due giri di Lombardia (1917 e 1918) e un Giro d’Italia. E quel Giro partì da Milano esattamente un secolo fa, il 10 maggio alle tre di notte. Era la dodicesima edizione della «Corsa Rosa» e non vide la partecipazione delle squadre più importanti che disertarono la corsa a causa di un contenzioso sugli stipendi con gli organizzatori. Comunque si partì. Dodici tappe per 3.613 chilometri: vinse Giuseppe Enrici, nonostante una grave infezione al piede, e su 90 partenti, arrivarono al traguardo finale solo 30 eroici «sopravvissuti». Alfonsina Strada prese il via con il numero 72, solo in due tappe arrivò ultima e nella quart’ultima finì fuori tempo massimo ma fu autorizzata a proseguire senza numero. Ma arrivò a Milano.

Cento anni fa e una storia che tracciò una via, aprì la strada ad vera rivoluzione sociale e culturale. Una storia che domenica mattina mattina il Museo del Ciclismo del Ghisallo a Magreglio ha fatto rivivere con una pedalata a Como con la Sartoria ciclistica, con lo spettacolo «Alfonsina – Una vita sui pedali» di amelie Seib e con un talk con Cicliste per caso e Antonella Stelitano. Alfonsina, ribelle di una famiglia povera e numerosa, scoprì la bici a 10 anni quando suo padre gliela portò a casa. Non aveva giochi e quindi si divertiva a pedalare. Forte, sempre più forte, su un pezzo di via Emilia. Correva più dei maschi e dava scandalo perchè nel secolo scorso le donne che andavano in bici mica le guardavano come adesso. Ma lei se ne fregava e ogni domenica gareggiava, vinceva e nel 1911 stabilì il record mondiale di velocità femminile con oltre 37 chilometri orari. Corse un Giro di Lombardia con Costante Girardengo e poi un altro ancora finchè nel 1924 arrivò il Giro.

La storia di Alfonsina è quella di un ciclismo da pionieri. Una storia di riscatto e di emancipazione fatta con il coraggio, con il cuore e con le pedivelle che fa scomparire il marketing delle mimose, che fa impallidire l’antifascismo da salotto di oggi. Non fu facile per Alfonsina Strada arrivare al traguardo del Giro ma non fu facile in assoluto andare in bici in quel periodo in cui le donne erano chiamate a fare altro. Per le strade le gridavano «diavolo», «dannata». Non si fermò, tiro dritto come sempre fece nella sua vita. Al traguardo di Milano ricevette un mazzo di fiori e un premio di 5mila lire, da Vittorio Emanuele III Re d’Italia. Non aveva mai visto una tale ricchezza in tutta la sua vita. Così, su una bici, fece la sua rivoluzione, una donna speciale fino alla morte. Morì nel 1959, per un infarto, mentre percorreva in bici una strada del Lorenteggio. Lì oggi si legge «Alfonsina Strada – la prima donna a partecipare al Giro d’Italia».