Le pietre contano e Pogacar dice sì alla Roubaix
Le pietre contano. E forse è proprio per questo che Tadej Pogacar, dopo tanto pensare, ha detto sì alla Roubaix. Le pietre contano e il campione sloveno non ha saputo resistere al fascino di una sfida che chi corre in bici non può non correre. Una scelta di cuore che probabilmente in molti non avrebbero voluto facesse perchè per un campione che può vincere tutto, che può rivincere il Tour, le classiche, che ha sponsor, ingaggi e tanti altri impegni da onorare, correre sulle pietre è un rischio di troppo. Ma le pietre contano e allora Tadej alla fine ha dato retta alla sua passione, all’entusiasmo dei suoi 26 anni, alla voglia di pedalare in una gara che resta un pezzo di storia, al desiderio di riempire tutte le caselle delle grandi corse che ancora non ha vinto. E la Roubaix sembra quasi che lo stesse aspettando.
Così domenica 13 aprile ci sarà da lustrarsi gli occhi perchè della compagnia saranno tra gli altri, ovviamente Mathieu van der Poel, ovviamente i nostri Filippo Ganna e Jonathan Milan, ovviamente Wout van Aert ma anche corridori del calibro di Jasper Philpsen, Matej Mohoric, Mads Pedersen, Tim Merlier, Arnaud de Lie tutti perfettamente in grado di entrare nel al Velodrome per giocarsela. Le pietre contano anche per loro. Contano per tutti. Oltre 260 chilometri di masselli e di asfalto, da Compiègne, a nord-nord-est di Parigi, al Velodromo di Roubaix. Una pietra dopo l’altra, infide, bagnate, a schiena d’asino cioè più alte e sconnesse nel mezzo per scivolare sui lati e sparire ai bordi dove spesso si può pedalare ma non sempre, perchè tra pubblico e transenne lo spazio non c’è e il rischio di agganciarsi a qualcosa o qualcuno è troppo alto.
Una pietra dopo l’altra, più lontane che vicine, a volte con l’erba in mezzo che rende tutto ancora più complicato tant’è che, Les Amis de Paris-Roubaix, l’associazione di volontari che si occupa della manutenzione dei 29 settori di pavé, nei mesi scorsi ha “assunto” un gregge di caprette che l’erba l’ha praticamente spazzata via meglio di una falciatrice. Ma la distanza tra un cubetto e l’altro resta tant’è che se sbagli a mettere una ruota e ci finisci in mezzo non ne esci più, la bici si imbizzarrisce, va dove vuole e non serve più neanche provare ad aggrapparsi alle leve dei freni, perchè le mani tremano, le braccia pure e ogni gesto, anche il più semplice come fermarsi, diventa inutile. Sembra banale ma, mentre cerchi di capire dove mettere le ruote, continui a chiederti e a ripeterti come si possa finire una gara così, come si possa resistere, provarci, anche solo pensarci.
Parigi-Roubaix: chi l’ha fatta spiega che per restare in equilibrio, per non impazzire, per non cadere bisogna avere il coraggio di andar forte, bisogna tirare sui pedali anzichè spingere perchè così la bici tende a sollevarsi come fosse un aliscafo e bisogna aver la fortuna di non bucare. ” Se non cadi e non fori sei adatto per il pavè…” diceva qualche anno fa ai suoi ragazzi il mitico Ds Giancarlo Ferretti. Un “sergente di ferro” che non aveva mezze misure perchè sulla via della Roubaix le mezze misure non esistono. O dentro o fuori, o davanti nei primi cinquanta all’imbocco dell’Arenberg o addio sogni di gloria. Comunque vada da Compiègne al Velodrome è un sfida ad eliminazione. Restano in pochi. Resta chi ha un fisico “bestiale”, meglio se potente, meglio se prestante, meglio se un po’ pesante e la storia di chi ha vinto da queste parti insegna. Ma quest’anno c’è anche Tadej Pogacar e la storia, un’altra storia, proverà a scriverla lui…