E’ stato il 2024 di Tadej Pogacar, ce l’aveva scritto negli occhi
Ci sono stati Giro e Tour, c’è stato il Lombardia, c’è stata la LIegi, ci sono state le Strade Bianche ma soprattutto c’è stato un mondiale vinto come forse nessuno ha mai fatto. Il 2024 nel ciclismo è stato tutto di Tadej Pogacar. Anche se ha solo 26 anni, il fenomeno sloveno ha già scritto una pagina fondamentale del ciclismo di sempre e dello sport in assoluto. Lo hanno giustamente messo di fianco a tutti i più grandi. Bernard Hinault, Eddie Merckx, Marco Pantani… L’Equipe gli dedicato pagine e una pagina intera nel giorno della vittoria del Giro di Lombardia paragonandolo a Fausto Coppi: ” Come lui…”. Come lui perchè quattro Lombardia di fila li hanno vinti solo loro due. E allora tocca a Tadej provare a spiegare a chi assomiglia: “I paragoni con Merckx sono decisamente molto belli e gratificanti- raccontava lo sloveno qualche mese fa al Festival dello sport di Trento organizzato dalla Gazzetta – Ma non mi piace paragonarmi agli altri. Ho sempre voluto e voglio ancora scrivere la mia storia. Non mi piace confrontarmi anche perchè quando ero ragazzo non mi interessavo granchè al ciclismo, questo per dire che non ho mai avuto un idolo a cui ispirarmi. Quando ero in Slovenia guardavo il Tour e poi quando ho iniziato ad appassionarmi al ciclismo c’era Andy Schleck che vinceva. La mia prima bici era italiana, una Billato, ma forse era un po’ troppo grande per me. L’allenatore mi disse che ero troppo piccolo per quel tipo di bici e ho dovuto aspettare un anno. Poi ho cominciato ad allenarmi. Mi divertivo e cercavo di vincere nelle corse juniores, come il Giro della Lunigiana. Quando ho iniziato a vincere mi sono reso conto di avere un certo potenziale e che potevo partecipare alle gare internazionali. Però guardavo le gare e non mi piaceva aspettare al traguardo, forse per questo che corro in questo modo…”. E’ stato un anno formidabile. Ha vinto praticamente tutto ciò che voleva vincere, con una serie di imprese che hanno riportato il ciclismo alle sue stagioni più epiche, quando le imprese venivano poi raccontate dai nonni ai nipoti e i distacchi erano di minuti e minuti: “L’obiettivo per quest’anno era il Mondiale ma ho pensato di fare Giro e Tour e le decisioni che abbiamo preso si sono rivelate giuste. L’anno scorso le aspettative erano altissime per il Tour. Avevo vinto nelle Fiandre e avevo fatto delle ottime classiche. Poi c’è stata la caduta nella Liegi, quando mi sono rotto il polso. La ripresa è stata molto lenta, ci sono voluti due mesi e non sono riuscito a battere Jonas Vingegaard. Quest’anno è andata diversamente ma ci sono stati alcuni momenti in cui ho pensato che non sarei riuscito a vincere alcune gare. Non ho paura a dire che in alcuni frangenti mi sono sentito al limite, sotto il profilo fisico e mentale È stata una stagione perfetta, e per questo ho voluto ripetere l’esultanza della Strade Bianche, la prima corsa che ho vinto quest’anno. Ogni successo è speciale, ma farlo con addosso questa maglia rende tutto ancora migliore. Sentire i tifosi gridare il mio nome rende bello ogni momento”. Che 2025 sarà per lo sloveno della Uae? Difficile dirlo anche se è facile immaginarlo ancora vincente. Tanto vincente. Come quest’anno, forse più o magari meno ma comunque con una sua impronta precisa. La sua. Perchè alla fine chissenefrega dei paragoni, dei raffronti, delle figurine messe una di fianco all’altra per capire ( cosa impossibile) chi sia il più grande, il più bravo, il migliore, chi l’avrebbe spuntata se tutti i grandi del passato fossero stati tutti in gruppo nella stessa epoca. Pogacar è Pogacar, unico e uno solo. Difficile dire se sia più talentuoso, più forte, più campione di altri perchè in questi anni di dominio ha dato una impronta talmente sua alle corse, alle vittorie, alle sconfitte (rare) e al suo essere testimonial di un ciclismo nuovo nell’atteggiamento tattico e non solo tattico che non può essere paragonato a nessuno. Pogacar attacca anche quando non dovrebbe, scatta anche quando potrebbe risparmiarsi, vince e stravince ma più che un cannibale pare un “rivoluzionario” che stravolge i luoghi comuni del ciclismo di sempre. Non è Eddy Merckx, Bernard Hinalt, Fausto Coppi, Jacques Anquetil, Miguel Indurain, Stephen Roche o Marco Pantani perchè è un campione assoluto figlio dei suoi giorni. Che senso hanno i paragoni a ritroso nel tempo? E’ cambiato tutto: bici, strade, alimentazione, allenamenti. E’ cambiata la cultura di uno sport che resta per fortuna ben radicato alla sua storia e ai suoi ricordi ma è capace anche di fare i conti con il tempo che passa e capire che tra i campioni di oggi e quelli di ieri c’è un mondo in mezzo. Non c’entra nulla ma non per un fatto tecnico, perchè pedala diversamente in salita, perchè è più forte a cronometro perchè domina anche le classiche, perchè oggi si corre con i caschi areo anzichè con le bandane. La differenza è solo nello sguardo. Oggi affaticato ma sempre irriverente e solare. Lo sguardo sereno di uno che sta scrivendo un pezzo di storia del ciclismo con la leggerezza di chi non se la “tira” e sembra neppure prendersi sul serio. Ecco la differenza tra Pogacar e tutti gli altri forse è proprio questa: nè Cannibale, nè Pirata, nè Tasso. Basta guardarlo negli occhi….