Peter-Sagan---Per-lui-settebello-di-vittorie-al-Tour-“Caro Ruzzo, si fa presto a scrivere che è stato un Tour di comprimari, perchè lo sport preferito da voi giornalisti alla fine è quello di criticare senza a volte sapere neppure cosa state criticando…Pedalare non è come tirar calci a un pallone, si fa fatica. Il ciclismo è uno sport duro e va sempre onorato chi vince ma anche chi perde. E poi come si fa criticare una corsa dove un fuoriclasse come Sagan vince tre tappe? Da solo lui vale il prezzo del biglietto…”. Ovviamente segue firma e ovviamente senza rancore. Ci mancherebbe. Si scrive ciò che si pensa e non sempre si può mettere tutti d’accordo. Anzi. Così  il pezzo di ieri su un Tour de France mediocre che, Froome a parte, è stato il trionfo del vorrei ma non posso, degli scatti da 20-30 metri in salita senza neppure tanta convinzione e delle rese incondizionate di fronte alla forza del nuovo re anglo-keniano, porta in coda un po’ di lettere e messaggi di chi non la pensa esattamente così.  Ma, liberissimi di non essere d’accordo, io credo che l’edizione 103 della Grande Boucle non sarà una di quelle che verranno ricordate. Nonostante le tre chicche di Sagan che ha corso come solo lui sa e può fare, che ha riscattato da solo una corsa che non ha avuto storia, ma che  non corre per la classifica e quindi lascia il segno che lascia. Cosa poi penso io su Peter Sagan è scritto in tempi non sospetti mesi fa, quando con un’azione che ( quella sì) passerà alla storia vinse a settembre il titolo mondiale in Virginia

Scrivi Peter su Google e il terzo nome della lista è quello di Peter Sagan. E un motivo ci sarà.  Fenomeno, fuoriclasse, personaggio o  campione. Chiamatelo come volete ma dalle 15.24 del 27 settembre ora di Richmond in Virginia, il ragazzo di Zilina è il nuovo messia del ciclismo mondiale.  Non è il campionato del mondo che incorona Peter Sagan, casomai il contrario. Perché il  mondiale non è la Milano-Sanremo, la Parigi-Roubaix o il Fiandre. Non vive di luce propria. Ci sono maglie iridate che, senza far nomi, sono finite sulle spalle di illustri sconosciuti che le hanno portate in giro per il mondo nel più completo anonimato.  Ci sono campioni del mondo che nessuno più neanche sospetta e neanche immagina. Sagan invece ce lo ricorderemo tutti. Ci ricorderemo quel suo scatto sul pavè  e quegli ultimi due chilometri e mezzo verso la gloria allo stesso modo della “fucilata” di Beppe Saronni a Goodwood. Consegnate alla storia, per sempre. Come Dino Zoff che alza la coppa del mondo a Madrid, come Stefano Baldini che entra nel Panatinaikò di Atene. C’è da scommetterci. Ma è solo l’inizio una storia importante. Un po’ già scritta, perché 75 vittorie in sei anni da professionista sono un biglietto da visita di tutto rispetto. E molto da scrivere perché questo fenomeno che vince le corse senza squadra di podi ne salirà ancora parecchi. Sagan è la rivoluzione di cui il ciclismo moderno appiattito da tattiche e doping aveva bisogno. E’ l’incoscienza e il coraggio, è la miscela esplosiva dell’estro, è la classe che comunque fa sempre la differenza. In bici ma anche quando non pedala. E’ il personaggio che fa la gioia di tifosi e giornalisti. Che prende a insulti un cameraman della Vuelta che per filmarlo rischia di farlo atterrare sull’asfalto, che pizzica il sedere di una miss sul podio e fa imbufalire Fabian  Cancellara, che poi  le manda un mazzo di fiori per scusarsi. Alla miss. Peter Sagan è quello che dopo la vittoria del mondiale che lo consacra stella di primaria importanza in un mondo che è sport ma anche contratti, sponsor, marketing e soldoni,  se ne frega di tutto e di tutti se ne va con quattro amici al pub a festeggiare con un birra. Peter Sagan sono 5 milioni di contatti sul web, 700 like al giorno, 335mila contatti su twitter e un centinaio di autografi al giorno. Peter Sagan è una pepita d’oro. Peter Sagan è la più grande fortuna che al ciclismo di oggi potesse capitare.

Antonio Ruzzo

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