treBisogna dimenticarlo in fretta un mondiale così,  perchè ti consuma, ti toglie il sonno… E chissà quante volte l’avrà già rifatta quella volata Matteo Trentin. E quante la rifarà. Matteo contro Mads. Matteo che scatta e vince, Matteo che lotta spalla a spalla e vince ancora. Matteo che tiene la ruota di Mads e a dieci metri esce dalla scia e lo brucia. Vince sempre Matteo, non c’è storia: è suo il mondiale. Ma il sogno si fa presto incubo perchè la testa che si abbassa e Pedersen che fila via e va ad alzare le braccia sul traguardo  di Harrogate sono il brusco risveglio. Chissà quante volte in questi giorni  l’avrà rivista, ripensata,  rimaledetta quella volata. Valgono i suoi occhi sul podio che dicono tutto, che spiegano meglio di tante parole il vuoto che uno ha dentro, neanche la rabbia perchè come fai ad arrabbiarti dopo una corsa cosi? Con chi ti arrabbi? Con chi te la prendi quando hai fatto tutto al meglio, anzi anche di più. Quando sei stato pronto, presente, perfetto. Quando anche tutti gli altri in quel girone infernale di pioggia e freddo hanno fatto il massimo. Quando tutti gli  azzurri,  dal primo all’ultimo, sono stati un sol uomo e un sol colore.  Come fai ad arrabbiarti dopo una corsa che è stata un viaggio infinito nel plumbeo pomeriggio inglese dello Yorkshire,  contea di Duchi e Duchesse che manderesti tutti al diavolo perchè ciò che conta alla fine sono solo quegli ultimi deucento metri che resteranno per sempre nella memoria del popolo ciclante, dei tifosi, di chi ha tirato, spinto, pedalato, ricucito, del tuo ct che l’aveva vinta quella partita a scacchi, che non ha sbagliato una mossa, che poi ha pianto e che poi ha spiegato al mondo che pasta di uomini sono stati i suoi…Resta un argento immenso, conquistato con una gara immensa, in una giornata dove il ciclismo diventa epico ma forse anche un’altra cosa, forse un rischio di troppo, una follia, una  sfida esagerata anche per campioni capaci di buttare il cuore oltre l’ostacolo.  Onore ai vinti. Onore a Matteo anche se probabilmente non sa che farsene, come di quella medaglia d’argento che probabilmente vorrebbe seppellire chissà dove per non vederla, per non pensarci  e ripensarci, per non ricordare finchè quel chiodo non riuscirà a scacciarlo anche se non è un oro perso.  Ma soprattutto onore al vincitore  Mads Pedersen, classe 1995,  che porta alla Danimarca la maglia arcobaleno per la prima volta nella storia.  Ha vinto lui ed ha vinto il più forte perchè è chiaro che dopo una gara così è stato il più forte. La maglia iridata è sua perchè a 200 metri dall’arrivo aveva ancora qualcosa in più di tutti nelle gambe. Poco, pochissimo ma ce l’aveva.  Ed è ciò che conta e che nel ciclismo fa la differenza. Il resto sono ipotesi, sogni o incubi da scacciare. E Matteo sicuramente lo sa. Per questo è un grande…