La consapevolezza di chi legge deve essere nutrita della consapevolezza di chi scrive. Questa la mia prima riflessione chiudendo il libro Negoziando con le ombre. È una raccolta di saggi. L’ha scritta Margaret Atwood (e in Italia l’ha pubblicata Ponte alle Grazie che edita tutti i suoi titoli). La scrittrice canadese in questo momento è presente in tutte le librerie con i suoi titoli più conosciuti. Vincitrice di numerosi premi, candidata anche al Nobel, osannata dalla critica e dal pubblico. E non solo. E’ diventata anche una star grazie al successo che la traduzione televisiva (per una fiction in più puntate) tratta dal Racconto dell’ancella ha avuto. Leggerla in questo momento può diventare quasi una cosa scontata. Prima di immergermi nella lettura di alcuni di questi titoli (oltre al già citato Racconto nella traduzione di Camillo Pennati, mi riprometto di leggere anche la raccolta Fantasie di stupro, tradotta da Gaja Lombardi Cenciarelli), sono andato a cercare nella libreria di casa. E in effetti un titolo c’era. Ma non si trattava di un romanzo o di racconti. Bensì di una serie di saggi sul tema dello scrivere e del rapporto che ogni autore ha con la scrittura. Trovo questo tipo di lettura estremamente consolatorio. Soprattutto se gli autori sono americani. Vantano questi, infatti, un sano pragmatismo. E i loro saggi finiscono per accendere nel lettore più di una speranza. Nel mio caso hanno funzionato benissimo in tal senso i testi di Raymond Carver e Stephen King. Ecco perché ho accettato di buon grado di riprendere in mano il libro della Atwood.

Inutile descriverlo. Troverete quanto è immaginabile ci sia: citazioni colte, “furti” da classici, testimonianze, consigli di lettura prima che di scrittura. Insomma, le “solite” gustosissime cose. Idee illuminanti. Idee grazie alle quali, quando ti trovi alle prese con un buon romanzo, riesci anche a leggerlo con più piacere e con maggiore consapevolezza della maestria che l’autore ha riversato su quelle pagine.

Personalmente Negoziando con le ombre diventerà una mia pietra miliare. Mi ha illuminato soprattutto su un passaggio estremamente importante. Quello riguardante l’ispirazione. La Atwood (nel capitolo finale del libro che dà il titolo a tutta la raccolta) ricorda una cena tra scrittori. Durante la quale citava la storia di Gilgamesh e del suo viaggio negli Inferi. E poi, rivolgendosi ai commensali, chiede: “E voi? Dove andate a prenderla la storia?” “Là dove si trova” rispondono in coro, ma senza dare ulteriori indicazioni. Perché le indicazioni, appunto, non ci sono. E qui arriva il punto più fascinoso del libro: la confessione che lo scrittore si consuma dietro una scommessa che non sa se vincerà. E soprattutto accetta di effettuare un viaggio di cui ignora l’itinerario e la meta finale. “La storia è nell’oscurità. Ecco perché si dice che l’ispirazione viene per illuminazioni. Entrare in una narrazione vuol dire percorrere una strada oscura. Non si riesce a vedere molto più in là del proprio naso”. In fondo anche Virginia Woolf lo aveva confessato con la stessa umile lucidità. “Scrivere un romanzo è come camminare in una stanza buia, tenendo in mano una lampada che illumina ciò che già si trova comunque dentro la stanza”.

A questo punto la perizia, la “penna” dell’autore, la conoscenza e la frequentazione di tutti gli attrezzi del mestiere, sono elementi importanti. Tuttavia, molto, se non l’essenziale, risiede in un fattore assolutamente indeterminabile. In quel piccolo tratto di sentiero illuminato dalla lampada che l’autore tiene in mano. Dove andrà Emma (Bovary)? Con chi parlerà? Nelle braccia di chi cadrà? E Anna (Karenina)? Quale strada percorrerà?  Gli scrittori hanno idee e suggestioni, ma inevitabilmente il percorso che devono fare, passo dopo passo, è lo stesso di chi nel buio di una miniera può illuminare soltanto i pochi metri di fronte a sé. Quindi potrebbe scegliere sempre strade diverse da quella che si trova a percorrere. Basterebbe un banale scarto di lato e il minatore si troverebbe nella galleria sbagliata.  E il capolavoro resterebbe per sempre avvolto dall’oscurità.

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