Gli scienziati Usa: correre è come farsi una canna, ma non è il caso di smettere
Correre è un po’ come una droga. Alzi la mano chi, almeno una volta nelle sua vita da runner, non ha dovuto fare i conti con questo piccolo dogma. Sarà. Però se dipendenza dev’essere meglio così che davanti a un pc, davanti alla tv, con un pacchetto di bionde in tasca o peggio ancora. E allora “droghiamoci” di mezze, di lunghi e di ripetute. Certo, si può provare a smettere. Soprattutto dopo un week-end sulle piste da sci, dopo un lunedì da 100 vasche in piscina e dopo un martedì da 60 chilometri in mountain-bike. Così uno dice: <Ok, oggi non corro, mi prendo un pausa…”. Ma poi arriva l’ora di pranzo, quella canonica in cui i colleghi vanno a mangiarsi un panino nel bar del centro, e tu ti ritrovi spaesato a non sapere che fare. Un caffè? Due chiacchiere con la segretaria? Una passeggiata per dare un’occhiata alle vetrine? Un salto da Decathlon? Vada per Decathlon. Entri, fai un giro veloce nel reparto running, ti compri un paio di calze anche se non ne hai bisogno, una bottiglietta di Gatorade alla cassa e poi fuori. Ma non sono neanche le due. E i conti si fanno in fretta. La riunione è fissata per le tre e mezzo quindi un’oretta piena di corsa ci sta. Sì, però leggera. Leggerissima, ci mancherebbe. Dieci minuti dopo sei di nuovo lì che giri al Sempione tra il Castello e l’Arena, soddisfatto ed euforico per la tua “dose” quotidiana di fatica che inspiegabilmente ti volevi negare. Ma se correre ti fa star bene perchè non farlo? Già, non c’è una logica. E infatti , come spiega una studio dell’Accademia americana delle Scienze ( Pnas), la logica in tutto ciò non c’entra per niente. Gli scienziati del Georgia Institute of Technology e dell’Università di Irvine hanno ben spiegato il fenomeno che dagli anni Settanta è definito in America «euforia del corridore». È il risultato di un meccanismo messo in atto dal corpo per proteggersi dal dolore e per sopportare meglio lo sforzo muscolare durante l’attività. Infatti correndo il corpo produce alti livelli di anandamide, una molecola con le stesse proprietà dei tetracannabinoidi rilasciati dalla marijuana sul sistema nervoso. E la sintesi è una sola: una “ripetuta” vale una canna. Ma fa molto, molto meglio.