Certo che l’annullamento della maratona di New York si doveva decidere subito. Certo che chi ha sborsato un sacco di soldi e si è allenato per mesi adesso è furibondo. E certo è che  Micheael Bloomberg e Mary Wittemberg da questa storia non ne escono benissimo. Forse a pezzi. Ma questo è il caso in cui la posta era alta e la scommessa si doveva fare. Per New York la maratona del dopo Sandy significava molte cose. Business innazitutto ma anche riscatto, orgoglio, prova muscolare contro le avversità, anche le più terribili. E c’era il precedente dell’11 settembre: lì i newiorchesi ce l’avevano fatta. Ma questo uragano, a una settimana dal via, è stata tutta un’altra cosa. E la rabbia dei residenti di Sate Island quando hanno visto che o generatori di corrente venivano utilizzati per dare energia alla sala stampa della maratona e non alle loro case ancora al buio ha fatto la differenza. Ancora ieri, nelle periferie più disastrate della città dove domani sarebbe passata la festa della maratona, i volontari recuperavano i cadaveri di chi non era riuscito a fuggire all’uragano. Impossibile correre, impossibile festeggiare, impossibile andare avanti. Così la decisione di annullare. La decisione più giusta e più responsabile. Si poteva far subito ma forse per chi aveva da mesi prenotato voli e hotel sarebbe cambiato poco. E New York aveva un volontà enorme di dimostrare al mondo che non aveva perso il sonno per Sandy e la sua violenza. La città che non dorme mai voleva scommettere sulla sua maratona. Ci ha provato e ha perso. Ma non mi sembra sia stata una truffa come ho letto da troppe parti.