E tutto un avanti e indietro di bandiere keniane il rettilineo d’arrivo di Central Park. In questo senso la maratona è una scienza esatta: vincono i più forti. Anche a New York. Soprattutto a New York,  che resta una città di mare dove spesso fa freddo e dove ,ancora più spesso, tira un vento gelido.  Come oggi nella maratona più fredda degli ultimi vent’anni con tempertaure inferiori ai cinque gradi e raffiche di vento ghiacciato che hanno fatto tremare atleti e spettatori. Così vince chi dopo 42 chilometri e 195 metri ha ancora un po’ di benzina nelle gambe e nella testa per fare la differenza.  E  la differenza nella 44ma edizione della maratona  l’ha fatta  il keniano Wilson Kipsang  che ha messo dietro tutti col tempo di 2h10’59″  superando dopo un lungo testa a testa, l’etiope Lelisa Desisa e Gebre Gebremariam (2h12:13). Stesso inno e stessa bandiera nella gara femminile dove ha trionfato Mary Keitany  con il tempo di 2h25’06″ davanti all’altra keniana Jemima Sumgang.  Ottava l’azzurra Valeria Straneo che lo scorso anno era arrivata quinta e che si è staccata dal gruppo di testa qualche chilometro dopo la mezza maratona. Primo degli italiani, ma anche degli europei, è stato Danilo Goffi, che si è classificato 14mo assoluto e primo assoluto tra i “master”   in 2h19’44”  migliorando di ben due minuti e mezzo il tempo dello scorso anno . Per lui evidentemente il vento soffiava a favore….”E stata una maratona con tanto agonismo…” ha detto Orlando Pizzolato durante la telecronaca in tv. Un modo elegante per dire che gli atleti non sono andati forte. Ma New York non è una gara dove si va forte e poi oggi tutti hanno dovuto fare i conti con le folate ghiacciate da 70 chilometri orari che , come sempre capita,  soffiavano contro. Però lo spettacolo di New York va oltre il cronometro.  Cinquantamila corridori che sfilano sul ponte di Verrazzano, a  Brooklyn e nel Queens, per arrivare a Manhattan, attraverso il Queensboro Bridge, fino al Bronx, e tornare indietro verso il traguardo, all’ingresso di Central Park, da Columbus Circle sono un’immagine che da sola permette di raccontare una magia. Che in realtà potrebbe essere raccontata molto meglio. Ma così non è stato. Ci lamentiamo spesso per le regie televisive delle nostre maratone ma oggi gli americani non hanno fatto meglio. Anzi. Le immagini sempre sui primi, gli arrivi spesso saltati,   tempi morti, intermimabilii sequenze da telecamera fissa senza mai ( quasi mai) raccontare un dettaglio, indagare sul gruppo, indugiare sulla città. Ma tant’è, questo ha passato il convento in attesa che qualche regista capisca che in una maratona la corsa va raccontata più nella pancia del gruppo che davanti. Così il bravo Franco Bragagna, in più di due ore di diretta sulla Rai, ha dovuto fare i miracoli per raccontare una maratona che solo lui poteva raccontare….