Una maratona inimmaginabile quella che si è corsa domenica a Londra. Inimmaginabile perchè la Virgin London marathon numero 40 è la prima maratona disputata dopo sette mesi di allarme Covid ma in realtà di una maratona ha mantenuto solo nome e sponsor. Il resto è un’ipotesi partorita dall’ emergenza. Diciannove giri su un percorso di 2,15 chilometri in senso orario del St James’s Park più 1345 metri in più per arrivare sul traguardo tradizionale su The Mall. Niente amatori, niente tifo, niente applausi, niente pubblico, nessun punto sul percorso per vedere la gara. Tutto chiuso e blindato per mantenere intatta la bolla di biosicurezza in cui sono stati calati gli atleti per quattro giorni. Tutti “tamponati” nel loro Paese di origine e poi all’arrivo, tutti alloggiati in un hotel con 40 acri di terreno, tutti con le mascherine e in camere singole, tutti a cena e a pranzo separatamente, tutti ovviamente distanti. Una maratona inimmaginabile per tutto ciò ma anche perchè il vincitore non è Eliud Kipchoge. Il keniano, nel giorno in cui la connazionale Brigid Kosgei (2h18’58”) si conferma regina, chiude addirittura ottavo in 2h06’49” ed è la sorpresa che non ti puoi aspettare, per qualcuno è la resa di un giorno, per altri la fine di un’epoca. Toccherà aspettare una maratona “normale”. Questa si risolve con una volata a tre dove vince il 26enne etiope Shura Kitata (2h05’41”) che precede il keniano Vincent Kipchumba (2h05’42”) e il connazionale Sissay Lemma (2h05’45”). Onore ai vincitori ma una sfida così è solo lontana parente della London Marathon che gli sportivi conoscono. Una festa mancata, anche perchè di questi tempi c’è poco da festeggiare. Una festa triste perchè la maratona è un lungo viaggio che attraversa la storia, le città, che raccoglie tifosi e passione strada facendo e non può finire dentro una bolla.