Se alla fine degli anni ’80, ai Giochi di Seul, l’Italia  diventò un “popolo di Abbagnale” scoprendo il canottaggio il merito fu di Giuseppe, Carmine e Peppiniello di Capua ma anche di Giampiero Galeazzi. Oro nel “due con” e un racconto al  cardiopalma che consegnò al Mito i cavalieri dell’acqua ma anche “Bisteccone”. Che poi uno ci finisce quasi sempre per caso nella storia. E non ne esce più.  Resta in mezzo a un racconto che all’inizio non si rende neanche conto che sarà per sempre, diventerà un tormentone eterno. E lo capisci quando per caso lo riascolti. Magari sei lì, in piedi di fianco alla cucina che stai preparando un caffè, e torni a sederti sul divano, perchè riconosci una voce che ti riporta indietro nel tempo e che continua, nonostante gli anni, a farti emozionare. E allora si ricomincia. Da Claudio Gentile che strappa la maglia di Zico , a  Adriano Panatta sul centrale di Roma o al Roland Garros, Da Gustavo Thoeni alla nazionale di Volley di Julio Velasco che tutto vincevano.  Da Stefano Baldini che vola negli ultimi quattro chilometri verso il Panatinaikò a Paolo Bettini con la sua volata olimpica di Atene fino a Sonny Colbrelli, ultimo della lista che vince la Roubaix. Ci sono vittorie, medaglie e campioni ma poi ci sono le voci e ogni grande impresa ha la sua. Ci si lascia cullare da telecronache fantastiche, dalla gioia, dalla potenza di una frase che sembra una banalità ma che poi  resta lì e torna quando meno te l’aspetti. E’ la magia della narrazione, di un urlo che sottolinea un gesto e lo consacra per sempre. C’è un cantore per ogni impresa. Anzi molte imprese diventano  un po’ più imprese delle altre  proprio perchè c’è una grande voce a raccontarle. Come  il mondiale della banda  Bearzot  quando fu Nando Martellini dal Bernabeu a incorniciare la storia ripetendo per tre volte quel “Campioni del mondo”. Come il “Il cielo è azzurro sopra Berlino” di Marco Civoli  con la nazionale di Marcello Lippi, come la medaglia olimpica di Maratona di Baldini e il “Bravo, bravo, bravo” di Franco Bragagna. Come il fantastico racconto di  Francesco Repice che ha sublimato l’Europeo degli azzurri questa estate a Wembley.  E come le vittorie olimpiche dei fratelli Abbagnale e di  Antonio Rossi  e Beniamino Bonomi spinti al traguardo da Giampiero Galeazzi, in un crescendo rossiniano che ha tenuto un popolo , che remi  e barche non sapeva neppure cosa fossero, incollato al teleschermo grazie alla competenza e alla passione di un ex canottiere  che poi con il microfono ha cambiato per sempre il giornalismo sportivo. Una rivoluzione fatta sul campo con i suoi racconti, le sue telecronache e con le sue invenzioni come quella delle interviste a bordo campo nel calcio rincorrendo i protagonisti, oppure negli spogliatoi bagnato fradicio per i gavettoni dei calciatori che lo consdieravano uno di loro.  Coppe, scudetti, Davis, mondiali, olimpiadi Galeazzi c’era. C’era sempre. E con Galeazzi (e con quelli come Galeazzi)  il sogno è per sempre, e torna ogni volta che la  voce ricompare. Torna la pelle d’oca per  “emozioni ” che non si immaginava di raccontare” e che invece è diventano un pezzo di storia. Della storia di molti di noi. Per imprese formidabili per chi le fa, per chi le vive e per chi le racconta. E soprattutto oggi dove  tutto è sempre eccezionale, straordinario, fantastico anche quando non lo è, dove tutto è sempre più urlato che poi quando bisogna cambiare davvero tono il “tono giusto”  non si trova più, servirebbe forse fare un passo indietro. Servirebbero ancora telecronisti come “bisteccone” che però oggi saluta e se ne va…