Giusto cominciare a pensare, come invita a fare il sindaco Sala, che non si potrà sempre vivere in emergenza, che con questo virus ci si debba più o meno convivere, che ci si debba abituare ad un tipo di vita diverso almeno per un po’ e guardare avanti. E davanti ci sono I Giochi Olimpici invernali del 2026 che sembrano lontani ma in realtà sono già qui. Ieri con il presidente del Coni Giovanni Malagò si è parlato di investimenti e strutture. Di una «nave ormai salpata» ma che deve navigare più veloce e soprattutto con un equipaggio all’altezza. Si è parlato dello stadio, del timore che nel giorno dell’apertura dei Giochi ci siano i cantieri, della necessità di scongiurarli. Progetti che coinvolgono regione e città, che saranno (già sono) posti di lavoro, che si spera lascino in eredità impianti moderni e accoglienti. Ma un’olimpiade è anche altro. E un atteggiamento nei confronti dello sport e del diritto di tutti a fare sport. Come aveva ricordato, tanto per fare un esempio, il presidente del Comitato italiano paralimpico Luca Pancalli festeggiando le 69 medaglie azzurre a Tokyo, nelle nostre città ci sono ancora troppe barriere architettoniche per i disabili, scarsa cultura del rispetto, pochi (forse nessuno) impianti a loro dedicati e ci sono oltre un milione di ragazzi disabili che lo sport non sanno neppure cos’è. E Milano non sfugge alla regola. Nel dossier olimpico ci sono idee e progetti, in attesa di vederli realizzati bisognerebbe però cominciare a coinvolgere di più i ragazzi, spiegando loro che un’olimpiade non è solo un grande evento ma promuovendo la pratica sportiva, rendendola gratuita laddove non lo è, lasciando gli impianti che già ci sono a disposizione. E questo si può fare subito.