C’era una volta una “norma etica”  che vietava  ai ciclisti con squalifiche per doping superiori a sei mesi di partecipare alle gare amatoriali. C’era un volta perchè ora non c’è più, sostituita dal Consiglio federale con le nuove Disposizioni attuative che trasformano radicalmente l’approccio all’attività.  A volerla era stato l’allora responsabile del settore amatoriale della Federazione Gianluca Santilli, avvocato e già organizzatore della Granfondo di Roma che, proprio con la corsa della capitale, la prima senza tempo finale ma solo con alcuni tratti cronometrati, aprì una breccia  “rivoluzionaria” nella cultura e nel  panorama troppo esasperato della gare amatoriali. “La normativa si era resa necessaria in condizioni particolari che richiamano alla mente un periodo buio per il ciclismo- spiega sul sito della Federazione il presidente della Commissione Amatoriale Andrea Capelli – Si trattò di una normativa emergenziale e, a distanza di otto anni, è giunto il momento di rivederne i passaggi che non sono più attuali”. Per la Federazione non ci sarebbero riscontri statistici che la norma etica abbia contribuito in modo diretto al contrasto del fenomeno doping a livello amatoriale; sarebbero stati escogitati nel tempo troppi meccanismi per aggirarla e, per applicarla, si è dovuta creare la figura del “ciclosportivo” che non trova riscontro né nei regolamenti internazionali né tra gli enti di promozione e creerebbe confusione. “Scompare quindi l’impossibilità di potersi tesserare come Master per chi ha avuto in passato sanzioni per doping- spiega Capelli– E chi ha scontato la propria pena potrà tornare nel gruppo, come accade per le altre categorie. Questo non vuol dire che la Federazione allenti l’attenzione su questi tipo di problema. E’ nostra intenzione proporre nelle sedi opportune un inasprimento delle sanzioni per alcuni tipi di illeciti…”. E sicuramente sarà così. Resta il fatto che per molti la norma etica, seppur “antica”, restava un paletto culturale per arginare il fenomeno del doping tra gli amatori tanto assurdo quanto difficile da comprendere. Si perchè,  ragionando per assurdo ( ma molto per assurdo), si può capire che un professionista faccia uso di doping. Vincere una gara importante, strappare un contratto importante, firmare per alcuni sponsor importanti in un certo senso possono far svoltare vita e carriera. E quindi il gioco vale la candela.  Ma quei “bolliti” di cinquant’anni che prima di una salita si riempiono di salbutamolo rischiando di collassare perchè lo fanno? Forse perchè in molte gare amatoriali chi vince trova anche qualche soddisfazione in denaro?  Per portarsi a casa un prosciutto o una cartone di vini? Per vantarsi con gli amici al bar?  Forse. O più  probabilmente perchè per generazioni l’equazione è sempre stata quella assurda che il ciclista è “serio” solo se in casa ha  una buona farmacia e  gli altri sono solo sfigati pedalatori della domenica? E’  un fatto culturale. C’è uno zoccolo duro che non vuole arrendersi, che è cresciuto sportivamente così, che così ha educato i figli a cui ha fatto fare sport. C’è un modo per uscirne? La Federazione in questo senso ha fatto molto ma altro si può fare. Investa tutto ciò che può sui tecnici seri che spieghino nelle scuole, nei vivai e dove si allenano i ragazzi che c’è un’etica dello sport e che alla lunga premia. Che spieghino che con i farmaci ( quando non si è malati) si rischia la pelle. Che il doping è droga e crea dipendenza e che se uno la usa per far bene in una gara, poi magari comincia a farlo anche per superare un esame a scuola, per darsi coraggio prima di un colloquio di lavoro o anche per far bella figura con la ragazza.  Che raccontino ai giovani si può vincere ma  che ogni tanto capita anche di perdere. E non è una tragedia…