Può lo sport chiamarsi fuori dalla politica, da questa guerra in Ucraina così assurda e così vicina? No, non può. E allora lo sport, i  mondiali di scherma che si stanno disputando in questi giorni a Milano in questo caso, anzichè stemperare stemperare tensioni e odio, li riattizzano. La sciabolatrice ucraina Olga Kharlan sale in pedana per affrontare la russa Anna Smirnova, la batte 15 a 7 ma alla fine dell’incontro si rifiuta di salutarla dandole la mano ma si limita al rispetto del protocollo tenendo bassa la sciabola. La russa per protesta si siede e resta sul campo per più di un’ora, mentre l’atleta ucraina viene squalificata. Il resto è guerra, in questo caso di parole, repliche e accuse. Il  consigliere presidenziale ucraino Mykhaylo Podolyak  non usa troppi giri d parole: «La decisione della Federazione internazionale scherma di screditare la leggendaria schermitrice ucraina è assolutamente vergognosa. Chiedo alla Federazione di scherma se il denaro russo non puzzi di sangue…”. Stessi torni quelli del ministro degli Esteri di Kiev Dmytro Kuleba che chiede alla Federazione internazionale di garantire i suoi diritti e consentirle di gareggiare: “L’atleta russa ha perso e ha deciso di giocare sporco- scrive su Twitter- i russi si comportano così anche sul campo di battaglia». Perdono un po’ tutti in questa storia. Perde lo sport che non riesce, e forse non può chiamarsi fuori dal conflitto, dall’odio, dalla storia. Si può discutere all’infinito sul significato dei simboli, se hanno valore o se sarebbe più efficace non far partecipare i russi,  rinunciare alle sponsorizzazioni di Mosca, far saltare accordi e contratti, annullare partite, eventi,  gran premi. Sicuramente sì ma la simbologia dello sport ha un valore alto che non è solo forma ma anche sostanza ed ogni atto o azione, anche la negazione di un saluto, è un atto poliica.  Con lo sport si fa politica e in un certo senso anche guerra. Sono simbolo gli atleti per ciò che fanno e, nel bene e nel male, vengono portati ad esempio ed emulati. I regimi fascisti in Italia e Germania li presentavano alla stregua di guerrieri della nazione. Sono simbolo certe vittorie e certe sconfitte perchè raccontano storie che si tramandano e perchè la letteratura di propaganda bellica ha spesso utilizzato metafore sportive per descrivere o giustificare i conflitti.   Sono state un simbolo le imprese sportive negli anni della Guerra Fredda, “sfide” tra i sistemi capitalistici e quelli comunisti.  E’ simbolo lo sport  nella storia utilizzato spesso da governanti e dittatori come strumento di  celebrazione  del potere,  della forza e di presunte superiorità militari e non solo militari. Lo stesso Pierre de Coubertin, fondatore delle moderne Olimpiadi,  considerava lo sport come strumento di pacificazione ma anche mezzo per per promuovere nella gioventù francese la disciplina militare. Durante la Prima guerra mondiale più volte nella tregua di Natale vennero organizzate nella “terra di nessuno” partite di calcio tra squadre di nemici, come espressione della loro “buona volontà”. E qualche volta lo sport è riuscito anche a fermarli i conflitti sebbene temporaneamente come ad esempio  alla fine degli Anni 60 in Nigeria quando l’arrivo di Pelè  decretò una tregua nella sanguinosa Guerra civile del Biafra.  Sono state sfide politiche Iran-USA ai Mondiali di calcio di Francia 1998 ”  e quella tra  Argentina ed Inghilterra nel giugno del 1986, allo Stadio Azteca di Città del Messico che regolava i conti dopo il blitz inglese alle Malvinas. E’ un simbolo politico assoluto è il gol di mano di Diego Maradona: ” la mano de Dios”.  E si potrebbe continuare. Sport e politica s’intrecciano, si scontrano, si affrontano ma seguono una strada comune.  Come aveva scritto George Orwell in “The sporting spirit” nel 1945 pochi mesi dopo la fine del secondo conflitto mondiale raccontandone più le miserie che le virtù,  lo sport è “Una guerra senza spari”. Ed è una guerra che anche sulla pedana del MOndiale di scherma milanese, purtroppo continua.