La copertina di oggi dell’Equipe è la sintesi perfetta della grande paura. E dopo la drammatica caduta nel Giro dei Paesi Baschi, dopo che Jonas Vingegaard, Remco Evenepoel e Jay Vine sono finiti in ospedale con costole, clavicole e vertebre rotte il  ciclismo si chiede perchè… E’ andata male e poteva andar peggio perchè hanno rischiato la vita:  inutile nascondersi. E ogni volta che lo sport si “schianta” si apre il dibattito sui pericoli.  Il rischio c’è sempre.  C’è nelle gare, c’è in ogni cosa che facciamo,. Solo che quando succede mentre si sta correndo, mentre si sta pedalando o sciando in una gara di coppa del mondo lo shock è terribile.  Si sa che gli atleti rischiano, che si spingono al limite, che osano forse anche troppo. Ma forse si fa finta di non saperlo fino a quanto una telecamera, un drone, non ci racconta con le immagini ciò che non si vorrebbe mai vedere. E allora per scacciare l’idea che fatalità e destino possano incidere e decidere della vita di ognuno, campioni compresi, si cerca riparo nella logica e nella razionalità. Si cercano le cause, i motivi, le spiegazioni. Una su tutte: troppa esasperazione, troppo sviluppo di mezzi e materiali che rischia di diventare un prezzo da pagare. Troppo in avanti ci si sta spingendo nelle prestazioni, troppo nell’agonismo, troppo nella tecnologia legata alle bicilette e non solo alle biciclette. Scrive Davide Cassani sui suoi social che per le prestazioni ormai si è disposti a fare qualsiasi cosa: “Prendiamo il manubrio: una volta era largo 42/44 centimetri ora per l’aerodinamica qualcuno lo ha portato a 38 cm addirittura 37 che, soprattutto in discesa rende più complicato controllare la bici…” spiega. E poi cerchi. Ormai tutti usano quelli ad alto profilo che alzano  le medie ma flettono meno e sono meno gestibili soprattutto in curve ad alta velocità. Non solo: in molti stanno cominciando ad usare quelli chiamati “Hookless” cioè senza uncini di ritenzione che aumentano il pericolo dello stallonamento, cioè la fuoriuscita del tubeless dal cerchio in caso di sollecitazioni estreme  “E i caschi? – si chiede Cassani- Ma invece di spendere soldi per migliorare l’aerodinamica perché non si investe per cercare qualche sistema per proteggere meglio l’atleta?”. Domande. A cui se ne aggiungono altre. I freni a disco che rendono le frenate molto più sicure ma, proprio per questo motivo, permettono ai corridori di osare molto di più, si ritardare la frenata, di prendersi rischi in più. I nuovi telai che con il carbonio sono diventati molto più rigidi, più reattivi e performanti ma anche meno capaci di assorbire gli sbalzi, le imperfezioni dell’asfalto e quindi il rischio di venire disarcionati quando si perde il controllo si è moltiplicato. Infine radioline, misuratori di watt, computerini che danno  una serie sempre più complessa di informazioni che chi va in bici legge in diretta e che però rubano l’attenzione dal reale, da ciò che sta succedendo in gruppo e in strada e quando la velocità è elevata anche un secondo in meno nel ritardare la reazione può essere decisivo. Strano discorso questo sulla tecnologia in questo caso applicata al ciclismo. In teoria dovrebbe contribuire a rendere bici e corse più sicure ma pare che funzioni al contrario. Bici più performanti hanno aumentato a dismisura le prestazioni, hanno spostato il limite molto più avanti, hanno permesso a chi le guida di osare tanto di più. Hanno aumentato il rischio e la paura.