Si cambia nello sport. Si cambiano casacche, Paesi, compagni e biciclette… Si cambia perché si cercano nuove opportunità e nuovi stimoli. E per Bettiol nato trent’anni fa a Poggibonsi cambiare è anche il modo per non farsi risucchiare nella routine, per uscire da quella che oggi molti chiamano la “confort zone”. Una carriera da professionista iniziata proprio nella casa statunitense che prima di diventare Ef si chiamava Cannondale, una carriera con vittorie importanti, una su tutte il Giro delle Fiandre nel 2019 ma anche tappe al Giro e al Tour Down Under e quest’anno la Milano-Torino, il campionato italiano a Sesto Fiorentino e una tappa e la classifica finale del Tour de La Mayenne. Evidentemente era arrivato il momento per svoltare. Per scattare. ” Sia chiaro che anche se è stata una scelta fatta a metà stagione non è un salto nel vuoto- racconta – L’Astana è un team kazako ma conosco molti compagni di squadra e ci sono molti italiani. E poi c’è un progetto che non mi porterà a cambiare atteggiamento o modo di correre”, che non è una minaccia ma assolutamente una speranza perchè in un ciclismo moderno fatto di tattiche, conti e di punti da portare a casa per le squadre che fanno classifica nel world Tour,  Bettiol è ancora uno dei pochi capaci di correre “controvento”.

“E’ un modo di essere, forse di vivere- spiega- In corsa credo che si debba avere coraggio, anche di perdere, anche di fare una brutta figura. Ma non voglio finire una gara con il rimpianto di non averci provato. Sarebbe peggio…”. E allora eccolo Bettiol che scatta sul Monte Morello, sul Vecchio Kwaremont, che ci prova a Glasgow sullo lo strappo di Montrose Street a caccia di un mondiale con un esito già scritto. C’è chi accetta e chi non s’arrende e il toscano, per nostra fortuna, appartiene alla schiera dei coraggiosi che provano sempre a giocarsela, magari anche a fine settembre nel mondiale a Zurigo. “Spero di andarci, di essere tra i convocati- spiega l’azzurro – Ma non è la mia corsa, sarà una sfida lunga, difficile soprattutto se il meteo dovesse complicarsi, un mondiale quasi per scalatori con una salita di 5 chilometri che verrà ripetuta otto o nove volte. Io se ci sarò farò di tutto per dare una mano alla nazionale ma ci sono due favoriti assoluti: Tadej Pogacar e Remco Evenepoel. …”. E se ci sarà proverà a fare di tutto per dar loro fastidio, per rendergli la vita dura, per sparigliare.

Come sempre. Nel suo ciclismo un po’ antico, però modernissimo. ” Il ciclismo dei nostri giorni è un altro sport rispetto agli anni epici del passato. Onore ai grandi campioni ma ora tutto è cambiato,  legato ad altre logiche. Quando qualche ragazzo mi chiede consigli per arrivare al professionismo la risposta che mi viene dal cuore non è di spiegargli come arrivare , ma come restarci tra i professionisti. Molti giovani arrivano e poi mollano,  non ce la fanno perchè entrano in gruppo già stanchi da tanti anni nelle categorie giovanili affrontati con troppe responsabilità, troppa pressione da parte di genitori, tecnici, società. Poi si trovano ad affrontare stagioni infinite che cominciano a dicembre e finiscoo ad ottobre, con sacrifici, viaggi, aerei, lontani dalle famiglie e dagli affetti e vanno in difficoltà. Credo che per un ragazzo oggi la priorità, anche se vuol fare ciclismo, sia studiare, imparare l’inglese, imparare a muoversi e a viaggiare, raffrontarsi co altri Paesi, altre culture…Certo poi deve anche pedalare forte è ovvio… Ma il nuovo ciclismo è questa roba qui…”.