Contano le medaglie? Contano certo, ma forse conta di più ciò che queste paralimpiadi che si chiudono oggi a Parigi rappresentano nel pensare comune, nella cultura di una società che accetta, accoglie e rispetta, nella comprensione di quanto lo sport, qualsiasi sport senza distinzione, sia il più formidabile strumento di “propaganda”, la forma più diretta per raccontare la vita, l’attaccamento alla vita, la voglia di non arrendersi, di andare avanti nonostante tutto, come spesso ripete Alex Zanardi “con ciò che è rimasto…”.  Ciò detto queste diciassettesime paralimpiadi per l’Italia resteranno indimenticabili sotto tanti punti di vista, a partire dal numero di medaglie vinte, 71, due in più rispetto a Tokyo 2020. Ben 24 gli ori conquistati, 10 in più rispetto al Giappone e un miglioramento nel medagliere generale di tre posizioni, dal nono al sesto posto anche se, in realtà, a Tokyo era presente la RPC (ossia la rappresentativa russa senza bandiera). Ma l’Italia che si è presentata a Parigi è stata anche la delegazione più numerosa di sempre a prender parte a una Paralimpiade: 141 atleti che si sono cimentati in 17 discipline. A Tokyo 2020 furono 15. Undici le discipline andate a medaglia: nuoto, atletica, ciclismo, tennistavolo, tiro con l’arco, scherma, triathlon, equitazione, pesistica, taekwondo, tiro a segno. A portare la bandiera durante la cerimonia i due atleti più giovani ad aver ottenuto il quarto posto: Domiziana Mecenate del nuoto e Ndiaga Dieng dell’atletica. ”Sono da sempre convinto che nel mondo paralimpico internazionale non esistano rivoluzioni ma lunghi processi di contaminazione che partono da lontano- spiega  il presidente del comitato paralimpico Luca Pancalli–  Si parla tanto dell’importanza dei Giochi Paralimpici di Londra 2012 come quelli dello spartiacque tra il prima e il dopo, ma Londra per noi è stata fondamentale per le tantissime ore di diretta della Rai. Senza la presenza dell’emittente pubblica alcune immagini iconiche di quei Giochi, penso, ad esempio, a quelle di Alex Zanardi, non esisterebbero.  Sono convinto che i Giochi siano sia tra i più grandi agenti trasformatori della società civile. Stiamo cambiando la società. Penso a chi si è appassionato alle paralimpiadi -e sono veramente tanti- saranno persone sicuramente migliori perché in grado di accettare ogni tipo di diversità…”. Diversità che anni fa era sottolineata dalla retorica dei racconti delle gesta dei paratleti  che ne sottolineava proprio la differenza con lo sport “normale”.  Che invece non c’è perchè non esiste uno sport “normale” ed altri sport. C’è uno sport solo e vale per tutti perchè i sacrifici, le rinunce, l’impegno, le vittorie, le sconfitte le gioie e le delusioni sono le stesse. Lo spiega bene Simone Barlaam, oggi uno dei volti del movimento paralimpico mondiale: “Io non sono un paratleta. Sono un atleta…”